Reincarnazione
Cristianesimo e Reincarnazione
Una Teoria Pericolosa Per La Chiesa Cattolica
La Reincarnazione: Una Teoria Pericolosa Per La Chiesa Cattolica
A scanso di equivoci riporto qui alcune citazioni (ma sul web potete trovarne molte altre, in Chiesa molte meno):
La reincarnazione rende possibile il concetto di Giustizia: altrimenti perché uno nasce ricco o povero, sano o malato, fortunato o infelice, intelligente o ritardato? Noi non siamo vittime di un'esistenza a caso, ma siamo i co-creatori della nostra realtà! Tutto ha un significato, anche i dèja-vu, i sogni, le coincidenze e... così tutto assume una logica ben precisa, che rispecchia la perfezione del Tutto. Ogni incontro, esperienza, ogni segno dell'Universo ha un senso compiuto, e guida la nostra anima verso il sentiero che ci ri-porta all'Uno, vita dopo vita!
La Reincarnazione: Una Teoria Pericolosa Per La Chiesa Cattolica
Da: Tragicomico.
Reincarnazione e Cristianesimo
La Reincarnazione come veniva insegnata dai primi Cristiani
La Reincarnazione come veniva insegnata dai primi cristiani
Metempsicosi letteralmente significa "trasferimento di anime" ed è un termine correlato al processo di reincarnazione. Viene spesso chiesto: "Perché la reincarnazione fino a poco tempo fa era sconosciuta in Europa e perché il Cristianesimo non la insegna?"
Veramente quest'idea è rintracciabile nelle più antiche tradizioni della civiltà occidentale tanto quanto era insegnata in tutto l'antico Medio ed estremo Oriente. E ci sono prove evidenti che davvero durante i suoi primi secoli, il Cristianesimo impartiva quello che aveva imparato riguardo la pre-esistenza delle anime e la loro reincarnazione
Josephus, lo storico ebreo che visse durante la maggior parte del primo secolo dopo Cristo, annota nel suo Jewish War (3, 8, 5) e nel suoAntiquities of the Jews (18, 1, 3) che la reincarnazione era diffusamente insegnata ai suoi giorni, mentre pure Philo Judaeus, suo contemporaneo d'Alessandria, in vari suoi scritti si riferisce alla reincarnazione, in una forma o nell'altra. Inoltre vi sono dei passaggi del Nuovo Testamento che possono essere compresi solo alla luce della pre-esistenza delle anime come credo generalmente accettato.
Per esempio Matteo (16:13-14) scrive che quando Gesù chiese ai suoi discepoli: "Chi dicono che io sia?"essi risposero che alcune persone dicevano egli fosse Giovanni Battista (il quale era stato giustiziato solo pochi anni prima che la questione fosse posta). Altri pensavano che egli fosse Elia, o Geremia o un altro dei profeti.
Più tardi troviamo in Matteo (17:13) che Gesù, lungi dal respingere il concetto di rinascita, disse ai suoi discepoli che Giovanni Battista era Elia.
Giovanni (9:2-4) riporta che i discepoli chiesero a Gesù se un uomo cieco avesse peccato lui o i suoi genitori dato che era nato cieco. Gesù rispose che tutto ciò avveniva perché le opere di Dio si manifestassero nel cieco ovvero perché avesse compimento la legge di causa ed effetto. O, come si espresse san Paolo al riguardo: "Si raccoglie quello che si semina". L'uomo cieco non poteva avere piantato i semi della sua cecità in questa vita, ma l'avrà fatto in una precedente.
I primi cristiani, specialmente coloro che erano membri di una delle sette gnostiche come i Valentiniani, gli Ofiti e gli Ebioniti, includevano la reincarnazione tra i loro insegnamenti più importanti. A loro parere essa consentiva il compimento della legge - karma - tanto quanto forniva all'anima i mezzi per purificarsi dalle torbide caratteristiche che risultavano dalla sua immersione nella materia e dall'egoismo che abbiamo sviluppato nei primi stadi del nostro viaggio sulla terra.
Dopo le generazioni iniziali di cristiani, troviamo i primi Padri della Chiesa, come Giustino martire (100-165 d.C.), san Clemente Alessandrino (150-220 d.C.) e Origene (185-254 d.C.), che insegnavano la pre-esistenza delle anime, abbracciando la reincarnazione o uno degli aspetti della rinascita. Esempi di questo si trovano nelle opere di Origene, in special modo nel Contra Celsum (1, XXXII), dove egli chiede:"Non è razionale che le anime debbano essere introdotte in corpi secondo i loro meriti e azioni precedenti...?" E nel De Principiis afferma che l'anima non ha inizio né fine. San Gerolamo (340-420 d.C.), traduttore della versione in latino della Bibbia, conosciuta come la Vulgata, nella sua Lettera a Demetria, una matrona romana, afferma che alcune sette cristiane del suo tempo insegnavano una forma di reincarnazione come dottrina esoterica, impartendola a pochi, "come una verità tradizionale che non doveva essere divulgata".
Anche Sinesio, (370-480 d.C.), vescovo di Tolemaide insegnava lo stesso concetto e, in una preghiera che è giunta fino a noi dice: "Padre concedi che la mia anima possa fondersi nella luce e che non sia respinta nell'illusione materiale". Altri suoi Inni, come il numero 3, contengono frasi che riaffermano chiaramente il suo punto di vista e che supplicano che egli sia così purificato da rendere non più necessaria la rinascita sulla terra. In una tesi sui sogni Sinesio scrive: "E' possibile, per l'anima immaginativa, grazie al tempo e al lavoro e ad una transizione in altre vite, emergere da questa oscura dimora". Questo passaggio ci ricorda i versetti dell'Apocalisse di Giovanni (3:12) con il suo linguaggio simbolico iniziatico che porta a: "Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più".
A questo punto dobbiamo ricordare quel che accadde dopo che Costantino dichiarò il Cristianesimo religione di stato dell'impero romano. La chiesa dimenticò l'ingiunzione di dare a Cesare quel che è di Cesare e si lasciò coinvolgere nell'amministrazione del regno di Cesare - l'arena politica. Il suo destino si legò così a quello dell'impero stesso e ai suoi sovrani.
Le svariate differenze tra gli insegnamenti nelle sette cristiane del quarto secolo erano parallele ai disordini che scoppiavano nelle province sotto il governo di imperatori poco energici, cosicché nel momento in cui Giustiniano prese l'incarico nel 527, ebbe seri problemi. Egli lavorò disperatamente per riunificare l'impero in rovina procedendo su due direttrici: da una parte il suo sforzo fu di guidare il suo esercito contro gli stati più piccoli all'interno del fold più grande; dall'altra impose un canone uniforme di credenze, al quale ci si doveva attenere strettamente. Teologo non disprezzabile egli stesso, lanciò una campagna contro le credenze dei cristiani nestoriani e altre minoranze e per fare questo dovette aggirare la decisione del Concilio di Chalcedon (451). Egli ordinò a Menna, patriarca di Costantinopoli, di convocare un sinodo locale o provinciale per affrontare il problema e venire incontro alle richieste di vari uomini di chiesa che si opponevano a certi insegnamenti, inclusi quelli di Origene sulla pre-esistenza delle anime.
Il sinodo locale accettò l'interdizione formulata da Menna, ma questo non sembrò ottenere grandi risultati. Dieci anni più tardi Giustiniano convocò il quinto Concilio di Costantinopoli, conosciuto anche come Secondo Concilio Ecumenico, ma questa definizione è sbagliata. Fu presieduto dal patriarca effettivo di Costantinopoli, Eutichio, alla presenza di 165 vescovi. Papa Virgilio era stato convocato dall'imperatore ma si oppose al Concilio e si rifugiò in una chiesa di Costantinopoli; non fu pertanto presente alle deliberazioni, né vi fu rappresentato.
Il Concilio redasse una serie di anatemi, 14 secondo qualcuno, 15 secondo altri, diretti principalmente contro le dottrine di tre "scuole" o "eresie", i cui documenti divennero noti come "I tre capitoli". Solo questi atti vennero presentati al papa per la sua approvazione. I papi successivi, incluso Gregorio Magno??? (590-604), mentre trattavano le faccende emerse dal quinto Concilio, non fecero riferimento alcuno alle idee di Origene. Tuttavia Giustiniano impose l'accettazione delle decisioni di quella che sembrava essere stata semplicemente una sessione extra conciliare, facendo sembrare che avesse approvazione o sanzione ecumenica. Quello che ci interessa qui è che gli ecclesiastici che si opponevano agli insegnamenti di Origene, soprattutto a quello che riguardava la pre-esistenza delle anime, si procurarono una condanna ufficiale, che cercarono di rendere obbligatoria.
Sebbene Gregorio Magno non facesse riferimento alcuno ad Origene quando intraprese i lavori del Quinto Concilio, accettò la tendenza alla codificazione del credo cristiano che si era sviluppato durante il quinto ed il sesto secolo, ed affermò perfino di aver "riverito" le conclusioni dei primi quattro Concilii, tanto quanto quelle dei quattro Vangeli!
Dal punto di vista dell'insegnamento pubblico l'idea della reincarnazione scomparve dal pensiero europeo dopo il sinodo provinciale del 543 e il Quinto Concilio del 553 - e questo adducendo come motivo il fatto che fosse in conflitto con un'appropriata comprensione del concetto di redenzione.
Malgrado gli anatemi, l'influenza di Origene continuò salda nei secoli, portando dritti i Cristiani verso Massimo da Tiro (580-662) e Giovanni Scoto Eriugena (810-877), il monaco irlandese immensamente erudito. Tale influenza raggiunse perfino figure relativamente più recenti come san Francesco d'Assisi, fondatore dell'Ordine Francescano (1182-1226) e san Bonaventura, il dottore "serafico" (1221-1274), che diventò cardinale e Generale dei Francescani. Perfino un teologo come san Gerolamo disse di Origene che fosse "il più grande insegnante della Chiesa primitiva dopo gli Apostoli".
Tranne le sette cristiane come i molto diffusi Catari, che comprendevano gli Albigesi, i Valdesi e i Bogomili, individui isolati come Jacob Boehme, il mistico protestante tedesco, Joseph Glanvil, il cappellano del Re Carlo II d'Inghilterra, il reverendo William Law, William R. Alger e molti ecclesiastici moderni, Cattolici e Protestanti, hanno appoggiato il concetto di reincarnazione sia sul piano logico che su altri piani. Henry More (1614-1687), il noto pastore della Chiesa d'Inghilterra e celebre neoplatonico di Cambridge, scrisse nel suo lungo saggio "L'Immortalità dell'Anima" uno studio considerevole e completo su questo tema, con risposte convincenti alle critiche sulla pre-esistenza.
Come disse More nel suo saggio sopra citato, "non c'è mai stato alcun filosofo che abbia parlato di un'anima spirituale ed immortale, che non ne sostenesse anche la pre-esistenza".
L'opposizione generale dei teologi nell'ultimo secolo sta venendo meno, dal momento che i loro successori hanno assunto un atteggiamento più aperto al riguardo. Sacerdoti di confessioni diverse stanno cominciando ad avallare i vecchi insegnamenti riguardo alla pre-esistenza dell'anima, la sua trasmigrazione in generale e la reincarnazione in particolare. Se ne sta parlando in modo più ampio di quanto non sia stato fatto per secoli, e lo scherno iniziale, basato sul fraintendimento della trasmigrazione, ha lasciato il posto ad un'indagine più seria.
Una delle tesi più comuni contro l'idea della reincarnazione è che non ricordiamo le nostre esistenze passate. Ma c'è una memoria diversa da quella cerebrale. Certe abilità o la capacità di fare o di capire certune tematiche o attività spesso evidenti nella prima infanzia, sicuramente indicano una reminiscenza di familiarità passate. Importa qualche cosa che nome avesse un certo personaggio se lacaratteristica espressa attraverso quella vita continua nella presente, modificata secondo il genere e l'intensità del precedente periodo di auto-espressione? Spesso consideriamo la vita e la morte come degli opposti; in realtà la vita è un continuum con nascita e morte a fare da vie di accesso dentro e fuori alla fase terrena. Nascita, morte e rinascita - il ciclo si compie e completa se stesso continuamente finché non ci liberiamo di tutte le scorie della nostra natura per divenire il puro oro dello spirito.
I. M. Oderberg
Il Bardo Tödröl Chenmo
Il Libro tibetano dei morti
Il Bardo Tödröl Chenmo (tibetano, Wylie: bar do thos grol chen mo; lett. "Suprema Liberazione con l'Ascolto nello stato intermedio"; reso anche come Bardo Thodol), noto nei paesi occidentali anche comeLibro tibetano dei morti, corrisponde a una sezione di un più ampio testo buddhista tibetano dal titolo zab chos zhi khro dgongs pa rang grol (Zabchö Shitro Gongpa Rangdrol, lett. "La profonda dottrina di autoliberazione della Mente [mediante l'incontro] con le Divinità pacifiche e adirate").
Il bar do thos grol chen mo è un testo gter ma ovvero un "Tesoro nascosto" o un "Testo tesoro" della scuolarnying ma scoperto nel XIV secolo da Karma gling pa (Karma Lingpa, 1326-1386).
Contenuto
Il testo descrive le esperienze che l'anima cosciente vive dopo la morte, o meglio nell'intervallo di tempo che, secondo la cultura buddhista, sta tra la morte e la rinascita. Questo intervallo si chiama, in tibetano, bardo. Il libro include anche capitoli riguardanti i simboli di morte, i rituali da intraprendere quando la morte si avvicina, o quando ormai è avvenuta.
Nella tradizione il Bardo Todol viene recitato presso il corpo del morto (o del morente) in un periodo di tempo dopo la morte in cui si ritiene che possa ancora essere ricettivo, per rammentare la dottrina del vuoto ed aiutarne lo "spirito" ad evitare il ciclo di rinascita. Nel libro si ripercorrono tre fasi nelle quali progressivamente ed in seguito al possibile fallimento nella fase che precede:
1) si cerca di favorire lo scioglimento dello spirito nel nirvana
2) si aiuta ad identificare lo spirito con le "divinità" del piano di cofruizione, intermedio tra l'ingresso nel nirvana e la ricaduta nel ciclo di rinascite. Di tale piano sono caratteristici i Cinque Buddha spesso raffigurati nei Mandala
3) si tenta di evitare la ricaduta nel ciclo di rinascite.
La prima traduzione italiana direttamente dal tibetano è del 1949 ad opera di Giuseppe Tucci.
Storia
È il testo universalmente più noto della letteratura tibetana Nyingmapa. La copia originale è conservata presso un monastero buddhista nella città di Darjeeling, in India.[senza fonte] Evans-Wentz's ha introdotto il testo in Occidente. Secondo John Myrdhin Reynolds l'edizione messa in circolazione da Evans-Wentz è ricca di fraintentimenti ed incompresioni. Il fatto é da attribuire alla cultura teosofica e vedica nella quale si era formato Evans-Wentz. Le sue conoscenze di pratica e filosofia buddista erano infatti limitate e il testo che è poi stato conosciuto in Occidente come Il libro tibetano dei morti altro non è che una raccolta di testi di visualizzazioni di ciò che succederá dopo la morte. Contrariamente alla diffusa convinzione introdotta erroneamente da Evans-Wentz, non é pratica comune nel buddismo tibetano leggere ad alta voce il Bardo Todol presso il corpo del morto o del morente.
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Il libro tibetano dei morti
La morte nel libro tibetano dei morti
Nel presente documento, il testo è stato alleggerito da soppressione dei nomi di Divinità tibetane, e di certe frasi che non aggiungono niente alla sua comprensione, ma il suo spirito in compenso, è stato rispettato interamente.
Il testo è all'uso dell'officiante.
L'officiante deve leggere il seguente testo, vicino al corpo del morto, o sul suo letto, o sulla sua sedia abituale che l'officiante occuperà. Il lettore deve esporre la forza di Verità.
Chiamando il morto, deve immaginarlo presente ed attento, poi leggere. L'officiante, per concentrarsi meglio, può riunire alcuni oggetti. Il suo spirito deve esser in offerta di adorazione.
Il testo deve essere letto tre o sette volte.
Ci sono tre Bardo:
- Confronto coi sintomi della Morte.
- Confronto con la Realtà.
- Confronto con la chiusura delle porte delle matrici quando il morto cerca di rinascere.
1 - il Chikhai Bardo: rinascita dei sintomi della morte e confronto con la Chiara Luce.
2 - il Chonyid Bardo: confronto con la Realtà.
3 - il Sidpa Bardo: confronto con le matrici della Reincarnazione.
I, ISTRUZIONI PER L'OFFICIANTE
Numerosi e profondi insegnamenti sono stati appena dati. È impossibile che non liberino quelli di un spirito elevato, di un spirito medio, o anche quelli che ha solamente una debole capacità intellettuale. E se si chiede come la cosa è possibile; ha la spiegazione:
1 - la coscienza nel Bardo, (nello stato intermedio, nell'astrale), essendo dotata di una percezione sopra normale, capisce con grande acutezza ogni cosa detta.
2 - anche se sulla terra il defunto era cieco e sordo, nel Bardo le sue facoltà diventano perfette, ciò che gli permette di sentire ciò che gli è detto.
3 - nel Bardo, l'astrale, si è spesso inseguito dal timore ed il terrore; tuttavia attento e cosciente, si ascolta sempre chi vi parla. La coscienza che si trova bruscamente senza supporto fisico, non può trattenersi dal rendersi là dove lo spirito la dirige.
4 - è facile dirigere la coscienza adesso; la memoria è nove volte più lucida di prima. anche se gli effetti del Karma avevano reso stupido, l'intelletto è diventato adesso eccessivamente chiaro e capace di meditare su tutto ciò che gli è insegnato.
Ecco perché il compimento dei riti funerari è efficace. Perseverare nella lettura del grande Bardo Thödol durante 49 giorni è della più grande importanza. Perché anche se il defunto non è liberato ad un primo confronto (lettura), potrà esserlo con una delle successive. È la ragione per la quale tanti confronti diversi sono necessari.
Riconoscenza dei sintomi della morte.
I tre principali sintomi della morte sono:
- Una sensazione fisica di pressione, "la terra che affonda nell'acqua";
- Una sensazione fisica di freddo, come se il corpo fosse immerso nell'acqua che si cambia gradatamente in un caldo febbricitante, "l'acqua che affonda nel fuoco".
- La sensazione di esplosione degli atomi del corpo, "il fuoco che affonda nell'aria".
Ogni sintomo è corredato da un cambiamento esterno e visibile del corpo: la perdita del controllo dei muscoli facciali, la perdita dell'udito, la perdita della vista, la respirazione che diventa spasmodica prima della perdita di coscienza.
La scienza della morte esposta in questo trattato, si dice, è stata stabilita dall'esperienza dei Lama istruiti che, morendo, spiegavano questi sintomi analizzandoli in dettaglio ai loro alunni.
Il libro I nella sua totalità - comprendendo il Chikhai Bardo ed il Chönnyid Bardo - deve essere letto del 1 al quattordicesimo giorno.
Il libro II - Sidpa Bardo - deve essere letto del 14 al ventunesimo giorno, o fino al 49 giorno, se si preferisce.
II, Significato Dei 49 Giorni
49 = 7 x 7. Secondo l'insegnamento occulto comune al Buddismo ed all'induismo, ci sono 7 mondi o 7 gradi di maya nel Sangsara, costituiti ciascuno come 7 globi di una catena planetaria. Su ogni globo ci sono 7 cerchi di evoluzione che fanno 49 (7x7) stazioni di esistenza attiva. Come nello stato embrionale umano, il feto passa attraverso tutte le forme di struttura organica, dall'ameba fino all'uomo, così nello stato post-mortem, stato embrionale del mondo psichico, "il Conoscitore o principio di coscienza, prima della sua reintegrazione nella materia grossolana, sperimenta analogicamente le condizioni psichiche pure. In altri termini, nei due processi embrionali interdipendenti del fisico e del psichico, le acquisizioni di evoluzione e di involuzione corrispondenti ai 49 tappe di esistenza, sono ripassate.
III, LIBRO PRIMO - IL CHIKHAI BARDO -
Quando la respirazione è sul punto di cessare, o è appena cessata, pronunciare queste parole ripetendole molte volte all'orecchio del morto:
"Oh Figlio nobile... (nome del defunto)..., è ora per te di cercare il Sentiero. Il tuo soffio cesserà... hai cercato sulla terra la Chiara Luce, ed adesso la conoscerai nella sua Realtà, nello stato del Bardo dove tutte le cose sono come il cielo vuoto e senza nuvole, e dove l'intelligenza nuda e senza compito è come una vacuità trasparente senza circonferenza né centro... in questo momento, conosci te stesso e rimani in questo stato."
Poi girare il morente sul suo lato destro, comprimere le arterie del collo fortemente. Il morente non deve dormire. Così la forza vitale non potrà dissiparsi, ma se ne andrà per l'apertura brahmanica, (alto della testa); bisogna trattenere l'energia nel nervo mediano finché possa uscire per l'apertura brahmanica.
Ogni defunto, al momento della cessazione della sua vita terrestre ha, fin dalla sua morte, la prima percezione nel Bardo della Luce Chiara.
Quando la respirazione cessa - diciamo che c'è perdita di conoscenza - la forza vitale rimane nel nervo mediano. La durata di questo stato varia. Dipende dallo stato dei nervi "psichici" e della "forza vitale". Per quelli che hanno condotto una vita cattiva o che hanno dei nervi mal equilibrati, lo stato dura solamente il tempo di un schiocco di dita fino ad una mezzo ora. Invece, per quelli che hanno solamente una piccolissima esperienza dello stato del "Dhyana", primo stadio della contemplazione, o che hanno i nervi calmi, lo stato può durare 7 giorni, ma più correntemente da 4 a 5 giorni. La regola abituale è di 3 a 4 giorni. Quando tutti i sintomi della morte sono sul punto di essere finiti, allora dire questa ingiunzione a voce bassa all'orecchio del morente:
"Oh Figlio nobile... (nome)... non lasciare tuo spirito distrarsi. Ciò che si chiama la morte essendo venuto per te, prendi questa risoluzione adesso: "Questa è l'ora della mia morte". prendendo il vantaggio di questa morte, agirò per il bene di tutti gli esseri coscienti che popolano le immensità illimitate dei cieli per ottenere lo stato perfetto dall'amore e la compassione che manderò verso di essi, dirigendo il mio sforzo concentrato verso la sola perfezione".
"Dirigendo così i tuoi pensieri, sappi riconoscere che sei in questo stato. Pensa: "Anche se non posso comprendere questo stato, riconoscerò questo Bardo qualunque sia la mia forma. Servirò gli esseri sensibili."
Il lettore dirà ciò con le sue labbra, vicino all'orecchio del morente, e lo ripeterà distintamente per stamparlo nettamente in lui, impedendo il suo spirito di errare anche un momento".
Dire con forza queste parole:
"Oh Figlio nobile... (suo nome)... ascolta. Adesso subisci la radiazione della Chiara Luce della Pura Realtà. Riconoscila. La tua presente conoscenza in realtà vuota, senza qualità e senza colore, vuota per natura, è la Vera Realtà, l'universale Bontà.
La tua intelligenza che è il vuoto della sua propria natura, non il vuoto del nulla, ma quello dell'intelligenza stessa non impacciata, brillante, universale e felice, è Dio, (Budda nel testo), universalmente buono.
La tua propria coscienza senza forma e non prendendo in prestito la forma da nessuna cosa, in verità vuota è inseparabile dall'intelligenza brillante e gioiosa. È lo stato di perfetta illuminazione, e l'unione della tua intelligenza e della tua coscienza. È lo stato di perfetta illuminazione.
La tua propria coscienza, brillante, vuota, ed inseparabile dell'universo Splendido, non ha né nascita né morte; è l'immutabile Luce di Dio."
Ripetere distintamente questo e chiaramente 3, o anche 7 volte. Ciò farà riconoscere la coscienza spogliata come essendo la Chiara Luce. Riconoscendo la sua propria essenza, il morente si unisce in modo permanente all'unione della sua coscienza e l'intelligenza brillante e gioiosa. Così, la sua liberazione sarà certa.
La Chiara Luce Primordiale, se è stata riconosciuta, libera subito. Ma se si teme che non sia stata riconosciuta, allorasi può esser sicurari che il defunto vedrà luccicare la Chiara Luce secondaria che si alzerà circa "il tempo di un pasto" dopo che l'espirazione avrà cessato.
Seguendo il buono o il cattivo Karma, la forza vitale scende nel nervo destro o sinistro e se ne va per una delle aperture del corpo, (cakras altro che il brahmanico). Viene allora un stato d'animo lucido. Quando il Principio-cosciente esce dal corpo, si chiede: Sono morto o no"? Non può determinarlo. Vede suoi vicini, il suo ambiente, come li vedeva prima. Sente i loro lamenti."
Continuate così:
"Oh Figlio nobile... medita sulla divinità che ami. Non esser distratto. Medita su di lui come se fosse il riflesso della luna sull'acqua, apparente ma inesistente in sé. Medita su di lui come se fosse un essere con un corpo fisico."
Così, in questa seconda fasi, l'intelletto è sveglio e può raggiungere la liberazione.
Il defunto si trova in un stato d'animo lucido, sebbene non sappia se è morto o no. Il corpo del desiderio, (corpo mentale o corpo pensiero), è illuminato a questo momento. Incontrerà la Realtà Madre e la Realtà di discendenza, sperimentata con la pratica della meditazione profonda senza Dhyana.
Anche se la Chiara Luce primordiale non è stata riconosciuta, la Chiara Lumière del secondo Bardo essendo riconosciuta, la Liberazione sarà raggiunta.
Se invece, la liberazione non ha avuto luogo, allora ciò che è chiamato il terzo Bardo, o il Chônyid Bardo, comincia. In questa terza fase del Bardo si alzano gli illusioni karmiche.
Il defunto vede ecc. amici, famiglia,.. li sente ma realizza che questi non possano sentirlo. parte scontento. A questo momento, dei suoni, luci e raggi si manifestano a lui, occasionando timore, paura, terrore, e causandogli molta stanchezza.
Dire questo:
Sebbene la Chiara Luce di Realtà abbia luccicato su di te, non sei potuto rimanerci, ed adesso devi errare qui, nel Bardo. Oh Figlio nobile... ciò che si chiama la morte è venuta adesso. Lasci questo mondo, ma non sei il solo; la morte viene per tutti. Non restare attaccato a questa vita per sentimento e per debolezza. Anche se per debolezza rimani attacato, non hai il potere di rimanere qui. Non otterrai nient'altro che errare nel Sangsara, o Samsara, letteralmente una cosa che gira in cerchio. Oh Figlio nobile... qualunque spavento o terrore possano assalirti nel Chônyid Bardo, ditti queste parole:
"Ahimè! Quando l'esperienza della Realtà luccica per me, possa rigettare tutti i pensieridi paura, di terrore, per timore delle apparenze, e riconoscere che tutte le apparizioni sono una proiezione della mia propria coscienza, possa riconoscerli come essendo della natura delle apparizioni del Bardo. Al momento molto importante di compiere una grande fine, non possa temere le truppe delle divinità pacifiche ed irritate che sono le miei proprie forme pensieri."
Ripeti chiaramente queste parole e vai avanti. Per questo mezzo, qualunque visione di timore o di terrore che ti appaia, la riconoscenza è certa; non dimenticare l'arte segreta e vitale che rimane in queste parole."
"Oh Figlio nobile... nel momento in cui i tuoi corpi ed il tuo spirito si sono divisi, hai conosciuto il chiarore della Verità Pura, sottile, scintillante, brillante, abbagliante, gloriosa e radiosamente impressionante, avendo l'apparenza di un miraggio che passa su un paesaggio in primavera in un continuo sfavillio di vibrazioni. Non essere soggiogato, né atterrito, né timoroso. Questa è l'irradiazione della tua propria e vera natura. Sappia riconoscerla. Dal centro di questa radiazione uscirà il suono naturale della Realtà che si ripercuote simultaneamente come migliaia di tuoni. Questo è il suono naturale del tuo proprio e vero essere. Non esser soggiogato, né atterrito, né timoroso. Il corpo che hai adesso, è chiamato il corpo-pensiero delle inclinazioni. Da quando non hai più un corpo materiale di carne e di sangue, qualunque cosa accada: suoni, luci o raggi, nessuna di queste cose può farti di male. Non sei più capace di morire. È molto sufficiente per te sapere che queste apparizioni sono le tuoi proprie forma-pensieri.
Sappia riconoscere che questo è il Bardo.
"Oh Figlio nobile... se non riconosci le tue proprie forme pensate malgrado le meditazioni o devozioni fatte per te nel mondo umano, se non hai sentito questo presente insegnamento, i chiarori ti soggiogheranno, i suoni ti riempiranno di timore, i raggi ti terrificheranno.
IV, LIBRO PRIMO - IL CHONYID BARDO
Il defunto è obbligato allora dal suo Karma, è il caso del più grande numero, di attraversare i 49 giorni di esistenza del Bardo. Durante i primi 7 giorni, dovrà superare le apparizioni delle Divinità pacifiche.
Il primo dei 7 giorni è fissato dal testo nel momento in cui normalmente realizza il fatto che è morto e sulla strada della rinascita. Questo giorno cade pressappoco 3 o 4giorni dopo la sua morte.
1° - Primo giorno
"Oh Figlio nobile... sei rimasto tramortito durante i 4 ultimi giorni. Appena uscirai di questo nulla, ti chiederai: "Che cosa è successo"? Agisci in modo di riconoscere il Bardo. In questo momento il Sangsara è in rivoluzione. Ma i fenomeni apparenti che vedi sono delle radiazioni e delle deità.... I cieli ti sembreranno blu scuro.
Si manifesterà allora a te l'unione universale del Padre e della Madre in colore blu brillante, trasparente, splendido, abbagliante. Sarai colpito di un chiarore così brillante che sarai appena capace di sostenerne la vista.
Accompagnando questa luce, brillerà un smorto chiarore bianco che viene di dévas che ti colpirà alla fronte. Per il potere del cattivo Karma, la splendida luce blu di saggezza Padre-madre produrrà in te paura e terrore e la fuggirai. Sentirai una preferenza per la smorta luce bianca dei dévas. Non devi essere spaventato dalla divina luce blu brillante, non devi essere sorpreso da lei. È la luce della saggezza. Metti la tua fede in lei, prega e pensa nel più profondo di te che è la luce venuta per riceverti nei passaggi difficili del Bardo; questa luce della grazia divina. Non essere attrato dalla smorta luce dei Dévas. Non essere legato, non essere debole. Se rimani attacato, errerai nelle case dei Dévas e saraì rigettato nei turbini. Questa è un'interruzione per fermarti sulla via della Liberazione. Non guardare questa smorta luce, guarda la brillante luce blu, con una fede profonda. Ti fonderai allora nell'alone di arcobaleno luminoso e ti stabilirai nello stato divino, di Budda, nel regno centrale della Densa Concentrazione.
Versione di Evans-Wentz.
Jean FORTIN
Libro Tibeteno dei Morti
Reincarnazione e Libro Tibeteno dei Morti
Reincarnazione e Karma
Karma Reincarnazione e Anime Gemelle
Reincarnazione L'argomento "reincarnazione" è considerato a tutt'oggi un argomento tabù presso molti popoli, soprattutto presso le culture occidentali monoteiste. Ricordo quando all'età di diciassette anni chiesi a mia madre (che già da anni si occupava di esoterismo): "Cosa significa quando senti che un determinato momento lo hai già vissuto?" e lei mi disse che la risposta alla mia domanda era la reincarnazione. Mi spaventai così tanto che scappai in camera mia.
Noi siamo pura luce ma lo abbiamo dimenticato. Abbiamo voluto sperimentare il mondo fisico e vi siamo rimasti intrappolati. Il senso del nostro viaggiare sulla Terra di corpo in corpo è di tornare alla Luce: il nostro compito è ricordare quando eravamo Luce.
Di contro esistono tre elementi a favore della metempsicosi:
La nostra mente ci fa dimenticare le vite passate per proteggerci, altrimenti diventeremmo pazzi. Tuttavia ci sono molte cose che ognuno di noi si porta dietro dalle esistenze passate. Ad esempio la nostra vita attuale è il risultato di tutte le nostre vite passate. I cosiddetti talenti innati sono capacità sviluppate in altre vite. Molti di noi si sottopongono a sedute di ipnosi regressive per pura curiosità. L'ipnosi regressiva può essere però anche shockante e secondo me è bene sottoporvisi solo per problemi davvero importanti, anche perché tutto ciò che dovevamo sapere sul nostro passato lo abbiamo già nel presente.
La legge del Karma
La reincarnazione si basa sulla legge del karma. Per karma si intende comunemente il bagaglio di vite passate che ognuno di noi si porta dietro, essa però è più precisamente una legge. John Mumford definisce il karma "la legge dell'evoluzione psico-spirituale che prevede una reazione uguale e contraria per ogni azione". Ciò significa che se ad esempio in una vita io uccido qualcuno, con larga probabilità sarò ucciso nella successiva. Oppure se morirò strangolata da un serpente in Cina mi sentirò soffocare ogni volta che entrerò in un ristorante cinese o avrò la fobia dei serpenti. Se ti auguro del male mi succederà sicuramente qualcosa di poco piacevole. Se sarò stata violentata in molte vite forse deciderò di diventare omosessuale o mi attirerò una persona del mio stesso sesso per un determinato periodo di tempo in questa vita. La legge del karma non va però intesa come punizione, perché ognuno di noi può liberarsi dal karma (spiegherò successivamente alcune semplici tecniche)! Il discorso è molto complesso e riguarda anche il concetto di memorie e l'effetto specchio, concetti esposti in modo esaustivo nelle conferenze di Joel Ducatillon, inventore dell'acqua diamante e della PMT. Secondo la legge del karma tutti i pensieri, le azioni e le emozioni hanno una conseguenza inevitabile.... anche i pensieri perché essi circolano ed arrivano. Sempre. Si potrebbe riassumere la legge del karma con la frase "ognuno raccoglie ciò che semina", ecco per quale ragione Einstein diceva "Dio non gioca a dadi con il mondo".
Programmare la vita successiva
Questi eventi possono anche essere spiacevoli ma è bene ricordare che la sofferenza arriva quando non c'è stato altro modo per capire quella determinata lezione, allora la si capisce con il dolore perché il dolore trasmuta e purifica.
Le persone che ci attiriamo nei periodi di chiavi preformate sono persone con cui noi eravamo già in contatto nelle vite precedenti e con le quali abbiamo questioni in sospeso. Nella vita attuale noi riviviamo con esse le stesse identiche situazioni della vita antecedente ma abbiamo la possibilità di risolvere il conflitto relazionale, abbiamo la possibilità di capire cosa si cela dietro quel rapporto. La stessa cosa vale per i problemi di salute: saranno molti simili a quelli della vita precedente ma avremo la possibilità di guarire. Le chiavi aperte non preformate si attivano quando siamo in un periodo di apertura cioè in cui non siamo influenzati dal nostro karma. Esse attirano a noi esperienze entusiasmanti e ci conferiscono la possibilità di comprendere ed accrescere la nostra spiritualità.
Come liberarsi dal Karma
Un altro modo per liberarsi dal karma è quello di provare compassione verso le persone per le quali nutriamo sentimenti negativi. Se io provo un forte risentimento nei confronti di un individuo che mi ha trattato male, invece di provare collera devo sforzarmi dicompatire questa persona perché il suo livello di coscienza è quello ed essa ha fatto ciò che poteva per farmi notare una parte di me che non notavo.
L'Effetto Specchio
Il contributo dell'astrologia
Anime gemelle
Anime di fiamma gemella
Anime compagne e anime gemelle
L'argomento sicuramente più affascinante della reincarnazione riguarda le anime compagne e gemelle. Solitamente i rapporti conflittuali che abbiamo con qualcuno sono dovuti ad un karma negativo che deve bilanciarsi e divenire positivo, mentre se in passato ho avuto una relazione piacevole con qualcuno questa relazione adesso sarà ancora più bella. Solitamente ci si rincontra per equilibrare il karma, ma ci si può rincontrare anche solo per puro piacere. Ognuno di noi ha dei compagni spirituali con cui si instaurano dei rapporti diversi da quelli che si instaurano con tutte le altre persone che si incontrano nella vita. I nostri compagni spirituali sono di tre tipi:
1) Anime compagne 2) Anime gemelle 3) Anime di fiamma gemella
Le anime compagne sono quelle che ci aiutano, che ci guidano, che ci illuminano. Sono persone alle quali noi nella vita passata abbiamo fatto un favore e loro ci aiutano in questa vita. Un'anima compagna può essere uno sconosciuto che ci aiuta quando ci si è fermata la macchina, un amico che ci dice qualcosa di illuminante e di chiarificante, una persona che ci sostiene e ci incoraggia o che incontriamo al momento giusto come una sorta di angelo. Le anime compagne sono persone con cui ci troviamo bene e di solito la relazione con esse dura poco. Se dura nel tempo allora possono diventare anime gemelle nella vita successiva.
Le anime gemelle sono i nostri amici speciali di questa vita. Si tratta di anime compagne con cui si instaura un rapporto di amicizia molto più profondo. Appena le incontriamo avvertiamo subito un senso di familiarità e ci troviamo immediatamente a nostro agio, perché il rapporto ricomincia esattamente da dove era terminato, è come rincontrare un vecchio amico dopo molti anni. Si può trattare di amici o di familiari e il rapporto, che sarà comunque molto rispettoso, può durare anche per tutta la vita.
Fiamma gemella
L'anima di fiamma gemella
L'anima di fiamma gemella è una sola ed è l'altra metà del nostro spirito. E' il nostro unico compagno spirituale e quasi sempre è del sesso opposto. Con lui abbiamo vissuto molte e molte vite. Quest'anima la si riconosce subito perché appena la si incontra c'è un'attrazione immediata in quanto le anime si ricordano le une delle altre. Nasce subito un rapporto speciale fra di loro ed il sentimento è reciproco. L'anima di fiamma gemella è un'anima compagna e gemella in una persona sola, speciale. In alcuni casi può essere anche un nostro fratello gemello. Un aspetto interessante dell'anima di fiamma gemella è la somiglianza fisica: ci si può assomigliare nei lineamenti, soprattutto negli occhi. Inoltre le aure sono congiunte da un arco di energia.E' bene però fare alcune considerazioni importanti a proposito dell'anima di fiamma gemella: è possibile che ci sia un karma negativo anche con essa, ma c'è comunque un forte amore che trascende ogni negatività. Inoltre non è detto che la si incontri in ogni vita, poiché dipende da quanto è stato concordato antecedentemente. Solitamente l'anima di fiamma gemella (con la quale siamo sempre in collegamento telepatico) si incontra quando entrambe sono giunte allo stesso stadio evolutivo.(Fonte:specchiomagico.net)Reincarnazione e Karma
Rudolf Steiner
Karma e ReincarnazioneTrascendere il passato per trasformare il futuro
Elizabeth Clare Prophet, Patricia R. Spadaro
Fiamme gemelle
Fiamme gemelle e Anime gemelle
FIAMME GEMELLE E ANIME GEMELLE
Un mistero dell'animo svelato dalla Cabala é il mistero legato a noi stessi e alla nostra anima gemella. Lo Zohar afferma che la nostra anima ha una gemella creata insieme a noi. Dio unirà queste anime se vivranno nella purezza e nella rettitudine.
"Tutte le anime del mondo, frutto della creazione dell'Onnipotente, sono misticamente una, ma quando scendono in questo mondo vengono separate in maschio e femmina, sebbene siano ancora congiunte. Al momento della creazione, emergono insieme come maschio e femmina. ma quando scendono in questo mondo si separano, una da una parte e una dall'altra e alla fine Dio le unisce (Dio e nessun altro, poichè soltanto Lui conosce il compagno di ogni parte). beato é l'uomo che vive nell'onestà e cammina sul sentiero della verità, poichè la sua anima potrà trovare il compagno originale e lui diverrà perfetto e attraverso la sua perfezione ilmondo intero vivrà nella gioia."
Secoli prima della composizione dello Zohar, Platone affermava che ognuno di noi é la metà di una totalità divina ed é per questo che siamo sempre alla ricerca del nostro compagno oroginale. leggiamo nel Simposio:
La fiamma gemella
La fiamma gemella non si sceglie
Le fiamme gemelle
- vengono dal passato, che fa spesso capolino e allontana la nostra mente. Il nostro passato che è ricco di paure, sofferenze, di dubbi, di ansie, quel nostro "essere umani" ci allontana dal livello spirituale;
- vengono incarnate da esseri umani, maschili e femminili, che importunano il nostro equilibrio, con proposte e offese, dimenticando che noi due ci apparteniamo, che non desideriamo altro;
- queste energie di basso livello sono espresse attraverso persone considerate sagge che hanno provato e provano ancora a mettere in dubbio l'entità energetica del nostro amore. Tali persone non riescono a vedere le difficoltà che affrontiamo ogni giorno proprio per difenderci da queste minacce, interne ed esterne e cercano di non abbassare le nostre vibrazioni di fiamme gemelle;
- si manifestano mediante veri e propri vampiri energetici, esseri che, volontariamente o non, succhiano energia e poi spariscono, questo per levare linfa vitale necessaria per portare avanti il nostro scopo.
Fiamme gemelle
La spiritualità tra fiamme gemelle
Fiamme gemelle
Fiamme gemelle sec. i maestri ascesi
I maestri ascesi usano il termine "fiamme gemelle" per descrivere l'uomo e la sua metà. Dio ha creato la fiamma gemella da un unico fuoco bianco. Separò infatti questo ovoide in due sfere, una con polarità maschile e l'altra con polarità femminile. Per permettere l'evoluzione dell'anima, ogni metà della totalità divina ha un proprio Corpo Causale, una Presenza dell'Io Sono, un Santo Io Cristico e un'anima. Le fiamme gemelli sono appunto tali perchè hanno la stessa origine spirituale e uno schema unico di identità.
Se avessimo continuato a vivere in armonia gli uni con gli altri e con Dio avremmo continuato a condividere la bellezza del rapporto di amanti cosmici con la nostra anima gemella nel corso delle diverse incarnazioni sulla terra. ma poichè abbiamo utilizzato la luce di Dio in modo sbagliato, siamo caduti dallo stato di perfezione. Nel processo, abbiamo creato karma negativo, ovvero sia spirali di energia che strati di densità dell'aura che ci hanno separato dalla nostra fiamma gemella. Ci siamo allontanati sempre più fino a perdere nozione della distanza che cui separava.
Prima che Dio possa quindi riunirci alla nostra anima gemella, potremmo avere dei debiti karmici da pagare. Prima equilibriamo il nostro karma attraverso le buone azioni e prima potremo affrontare, insiema alla nostra anima gemella, il destino che ci attende. Quanto detto spiega la nostra altrimenti inspiegabile attrazione per determinate circostanze, relazioni o matrimoni. Ognuno di noi potebbe aver qualcosa di importante da offrire o da ricevere da un suo simile prima di proseguire con il piano divino della nostra fiamma gemella.
Nel capitolo quattro, ho affermato che il sistema più efficace per adempiere ai propri obblighi karmici è mediante la preghiera, sopratutto tramite l'invocazione della fiamma viola e il servizio a Dio, famiglia e comunità. E' proprio questo che intendono Patone e lo Zohar quando sostengono che dobbiamo essere devoti e onesti al fine di poter essere riuniti alla nostra metà.Cercare l'unione con il proprio Santo Io Cristico e la Presenza dell'Io Sono é il primo passo verso l'unione con la propria fiamma gemella, poichè ciò che desideriamo é essere in grado di offrire a quest'ultima il nostro amore, il nostro vero io e la nostra conquista spirituale. Ed é la luce di Dio che conquistiamo mentre ascendiamo sulla scala delle Sefirot che attirerà a noi la nostra fiamma gemella o ci libererà entrambi per poterci avvicinare maggiormente al nostro obiettivo.
Non tutti gli amori meravigliosi e che appagano l'anima sono quelli delle fiamme gemelle. Esiste anche l'amore di anime consanguinee, definite " anime gemelle". Se le fiamme gemelle condividono un'origine spirituale comune, le anime gemelle condividono una occupazione complementare in vita. Le anime gemelle sono compatibili e molto simili. In un certo senso, possono essere definite compagni di giochi nell'aula della vita.
Se nella storia delle incarnazioni della nostra anima possiamo avere svariate anime gemelle, abbiamo una sola fiamma gemella, che rappresenta il nostro più grande amore. Se durante l'esistenza terrena possiamo venire separati dalla nostra anima gemella, siamo sempre un tutt'uno nello Spirito. Se il karma deve tenerci separati per un certo periodo, a livello spirituale possiamo continuiare ad agire con la nostra fiamma gemella, amplificando lo slancio del nostro amore per assistere la nostra vita.
Baal Shem Tov, fondatore dell'hasidismo, un movimento religioso sorto in Polonia nel diciottesimo secolo, ha così espresso la bellezza e la forza del rapporto delle fiamme gemelle:"da ogni essere umano si eleva una luce che raggiunge i cieli. E quando due anime destinate a riunirsi si trovano, i loro raggi confluiscono e dalla loro unione sorge un'unica luce ancora più luminosa."
da Cabala, la Chiave del potere interiore di Elisabeth Clare Prophet edizioni Armenia
FONTE: https://www.fiorigialli.it/dossier/view/6_i-sentieri-dell-essere/883_fiamme-gemelle-e-anime-gemelle
Sonno e morte
Sonno e morte
Sonno e morte , da millenni sono stati affiancati l'uno all'altra e legati da nessi eufemistici (addormentarsi-morire), mitologici (per i Greci Hypnos, il dio del sonno, era fratello gemello di Tanatos, dio della morte) o metaforici (la morte come un sonno eterno senza sogni). Il sonno, realtà esperibile, reversibile, si è prestato come base per pensare la morte, di per sé non esperibile e irreversibile. Ma anche lo stato di coscienza onirico, il sogno, è servito come mezzo cognitivo-esperienziale per poter pensare la morte (pensiamo, ad esempio, al monologo di Amleto). Negli ultimi tre decenni si è andato sempre più imponendo un ulteriore stato di coscienza che ha posto in secondo piano il sonno e il sogno come modelli e metafore della morte. Anzi, questo stato di coscienza, si è legato alla morte non più attraverso figure retoriche quali l'analogia o la metafora, non più attraverso forme eufemistiche o parentele mitologiche: lo stato di coscienza di cui parleremo, è stato descritto, e non solo da chi lo ha vissuto personalmente, comecoincidente con la stessa morte, che in tal modo è stata illusoriamente piegata alla dimensione esperienziale. Questo abbattimento dello iato metaforico-linguistico, della tensione tra segno e simbolo, è da più parti ritenuto una delle conseguenze del processo di desimbolizzazione tipico della cultura post-moderna, un processo interessante, ma che qui non esamineremo. Dunque la morte è stata ammantata dall'esperienza, e non è un caso che lo stato modificato di coscienza di cui parliamo è stato denominato: "Esperienza di Pre-Morte" (noi preferiamo però l'espressione inglese: Near-Death Experience, Nde). Grazie all'Nde la propria morte non solo diventa pensabile, ma anche "vivibile": si fa esperienza della morte. Chi "vive" una Nde può raccontarla come fa con i propri sogni, con le esperienze di un viaggio in paesi lontani o con l'esperienza di una notte in discoteca. Noi viviamo nella "società dell'esperienza", afferma in un recente saggio il teologo Hans Küng, e in tale società solo in un caso la morte può essere accettata e suscitare profondo interesse: «solo cioè se anch'essa è intesa come esperienza vissuta, cioè come esperienza di uomini che sono morti e che sono poi richiamati in vita dalla morte» (Küng e Jens, 1995, p.22). Di qui l'ampio "uso" strumentale dell'Nde all'interno dei nuovi "culti dell'esperienza" come la New Age, al fine di rassicurare la gente impaurita dall'obliterazione della coscienza dopo la morte.
Viaggio nell'Aldilà
Viaggio dell'Anima nell'Aldilà
Ma cos'è l'Nde? Seppure con una incidenza non elevata, si è riscontrato che una certa percentuale di coloro che, in seguito a un grave incidente o un trauma o una crisi cardiaca, abbiano pensato, creduto, temuto o percepito, più o meno consciamente e non necessariamente in presenza di un oggettivo pericolo di morte, che la propria morte fosse imminente, riferiscono di essere stati protagonisti di un'esperienza descritta come fantastica e "reale" al tempo stesso, come un vero e proprio "viaggio nell'aldilà" o nel "mondo dei morti", descritto uniformemente come luogo di pace, serenità e tranquillità assoluti, che presenta molte somiglianze con quello immaginato da Dante nella "Divina Commedia" o con quelli immaginati e descritti nei "Libri dei Morti" sia egiziani che tibetani. Molti di coloro che sono stati o hanno ritenuto di esserlo, sul punto di morire o addirittura sono stati dichiarati clinicamente morti, hanno poi riferito di essere "usciti dal corpo" e di averlo potuto osservare dall'esterno; di essere entrati, spesso dopo l'attraversamento di una zona di passaggio generalmente buia, in luoghi paradisiaci, in un regno di luce e amore, dove avrebbero incontrato parenti o amici defunti e spesso anche un grandioso "Essere di luce"; alcuni hanno anche riferito di aver potuto rivedere in breve tempo l'intera esistenza passata e/o, in alcuni casi, anche quella futura e di avere improvvisamente intuito la vera natura e il vero significato della vita e della morte; riferiscono poi di essere arrivati in una zona di confine o di aver incontrato un ostacolo, o l'Essere di luce stesso, che ha impedito loro di andare oltre e che li ha costretti a "ritornare nel corpo".
La letteratura sull'Nde mostra numerose incongruenze e in questo scritto accenneremo ad alcune di esse; assumeremo inoltre un approcciopsicofisiologico clinico per il raggiungimento di una più adeguata definizione, descrizione e comprensione dell'Nde. L'assunto psicofisiologico, della fondamentale unitarietà dell'essere umano in cui corpo e psiche non sono altro che due facce della stessa medaglia, si rivela, nello studio dell'Nde, più che in altre possibili esperienze umane, di particolare validità ed utilità. Esso ci consente, infatti, di giungere ad una considerazione dell'Nde che nulla ha a che fare con le possibili e, per alcuni, inevitabili ipotesi metafisiche e prove della "vita oltre la vita".
Morti oggettivamente o soggettivamente morti?
Molte definizioni dell'Nde sembrano dare per scontato che tale esperienza venga vissuta unicamente da persone che siano state in reale pericolo di morte, definito come tale sulla base di specifici parametri medici. Solo pochi autori hanno sottolineato che la semplice percezione della morte come imminente può essere di per sé una condizione sufficiente perché un individuo viva una Nde, anche in assenza di una grave crisi organica. Noyes (1972) ha considerato il riconoscimento della morte come imminente da parte del soggetto come il prerequisito indispensabile per il verificarsi di un'Nde. È, dunque, più probabile che essa accada, secondo Noyes, in tutte quelle circostanze in cui tale riconoscimento anche in maniera repentina, è possibile. Questa considerazione di Noyes ha trovato conferma nella ricerca eseguita dallo stesso autore insieme a Kletti (1976) dalla quale è risultato che i vissuti che caratterizzano tipicamente un'Nde si presentano con maggiore frequenza in coloro che avevano creduto di stare per morire rispetto a coloro che non lo avevano creduto.
Riassumendo, si può dunque schematizzare il tutto con la sequenza: 1) trauma psicofisiologico; 2) vissuto di pericolo di vita; 3) innesco, in alcuni individui per motivi non ancora spiegati, di una Nde.
Pre-morte
Pre-morte o in-morte
Pre-morte o in-morte? Un'altra critica si può muovere a coloro (ricercatori e soggetti) che considerano l'Nde come un'esperienza "nella" morte piuttosto che "vicino" ad essa (nonostante l'inequivocabile termine "near" presente nell'espressione inglese) o in sua prossimità, in senso probabilistico. Ricordiamo che la morte è la «cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo»,1 in particolare delle funzioni psichiche cerebrali e dell'attività dei centri nervosi del tronco encefalico. Quando si parla di "morte clinica" o di "Eeg piatto", ci si riferisce solo a segni clinici necessari, ma non sufficienti a stabilire la morte dell'individuo. È stato dimostrato con esperimenti su animali, che in presenza di Eeg isoelettrico,2 rimane comunque una minima attività elettrica cerebrale rilevabile attraverso elettrodi infissi direttamente nella corteccia e in altre parti dell'encefalo. Scrive a tale proposito David Lamb, studioso inglese di bioetica: «I mezzi di comunicazione di massa riferiscono di frequente casi di pazienti "riportati alla vita"; ma questi racconti non possono essere comunque presi in considerazione [...] come esempi di reversibilità della morte. [...] Questi resoconti hanno nondimeno acquistato un significato religioso, grazie ai servizi sensazionali che compaiono nei mezzi di comunicazione di massa sulle esperienze nell'"oltretomba" (1985, p.23).
In definitiva, chi ha vissuto un'Nde non è mai stato "un morto", ma di sicuro ha occupato il "ruolo" del morto, ascrittogli da sanitari frettolosi o da sé (sia durante che dopo l'esperienza).
L'Nde senza dubbio affascina, appaga il desiderio umano di una "vita oltre la vita" (guarda caso è proprio questo il titolo del best seller di R. Moody), e anche molti studiosi dell'Nde, soprattutto coloro che hanno personalmente raccolto molti resoconti di tale esperienza, si sono lasciati influenzare ed affascinare dalla sincerità e dall'intensità emotiva dei racconti dei soggetti intervistati e, per quanto abbiano precisato che tali soggetti non fossero morti, e che fosse sensato prendere le opportune distanze da ipotesi di carattere metafisico e trascendente, hanno finito, in alcuni casi, per indulgere nell'uso di una terminologia estremamente suggestiva di quest'ultimo tipo di ipotesi, quando non addirittura convincersi che l'Nde sia effettivamente un "viaggio" nell'aldilà.
Tra le molte ipotesi fino ad ora formulate per spiegare l'Nde (per una trattazione delle quali rinviamo alla vasta letteratura scientifica e divulgativa), consideriamo del sogno particolarmente vivido e lucido.
Il sogno è uno degli stati modificati di coscienza più comuni. Per questo, molti, sia tra coloro che hanno studiato l'Nde, sia tra coloro che l'hanno vissuta in prima persona, hanno ritenuto di poter paragonare tale esperienza al sogno. Ma numerose sembrano essere le differenze che impediscono una equivalenza tra Nde e sogno.
R. Moody (1975) evidenzia che coloro che hanno vissuto una Nde, sono individui perfettamente in grado di distinguere tra sogno ed esperienze reali; inoltre essi parlano dell'Nde come di eventi realmente accaduti; non di una esperienza sognata, seppur in modo particolarmente lucido e vivido, ma di una vera e propria esperienza, seppure straordinaria.
M.B. Sabom (1982) ha fatto notare che l'estrema mutevolezza e variabilità dei contenuti dei sogni, non solo tra persone diverse, ma anche nella stessa persona, contrasta con la straordinaria ricorrenza di alcuni elementi nell'Nde. Sabom, in accordo con quanto sostenuto da Moody, cita alcune testimonianze di persone che hanno vissuto l'Nde e che escludono che si sia trattato di un sogno:
«Pensavo: accidenti! Che sogno pazzesco! Ma non era affatto un sogno. Era qualcosa di reale e concreto che accadeva davvero».
«Si trattava di realtà, e non di allucinazione o fantasia. Lo percepivo nettamente. Non era un sogno. Quelle cose mi stavano accadendo per davvero. Le vivevo, le sperimentavo, sebbene fossi più morto che vivo».
«Ho sempre sognato con regolarità e con grande varietà di temi, ma l'esperienza vissuta non si può, sotto alcun punto di vista, etichettare come un fatto onirico, assolutamente. Era reale al massimo, concreta. E poi il senso di pace, la favolosa tranquillità. Era questo, forse più di ogni altra cosa, che la distingueva dal sogno».
Questo evidenziare - commenta Sabom - il profondo senso di realtà dell'esperienza di pre-morte in confronto all'illusorietà del sogno si ritrova in tutte le testimonianze di coloro che hanno vissuto ambedue le cose, ed è molto importante. Il fatto di essere in grado di percepire il senso di irrealtà legato al sogno è fondamentale per il sognatore, stando alle idee di Freud. Gli consente, infatti, di ottenere una specie di rassicurazione positiva "[...] che mira a ridurre drasticamente l'importanza e il pathos di ciò che si sogna consentendo al soggetto di tollerarlo comodamente" [l'interpretazione dei sogni, 1900]. [...] L'irrealtà percepita nel fatto onirico consente, in genere, di proseguire nel sonno ristoratore, nonostante le impressioni sgradevoli o potenzialmente distruttrici che si possono ricevere sognando. Gli eventi che invece accadono nelle esperienze di pre-morte sono sentiti come concreti e reali in modo profondo, sia durante il loro svolgersi sia dopo, allorché li si riconsidera. Senza scordare che, mentre i sogni sono estremamente mutevoli e variabili, non solo da persona a persona, ma anche rispetto a un medesimo soggetto, le esperienze di cui discutiamo si attengono tutte a parametri di estrinsecazioni nient'affatto mutevoli, bensì ricorrenti. Per questo anche l'"enigma sogno" non può spiegare il misterioso fenomeno che stiamo studiando» (1982, pp.204-205).
Anche le Nde raccontateci da alcune delle persone da noi intervistate, concordano sostanzialmente con quanto si è appena detto. Giuliana, di 43 anni, così descrive la sua esperienza, escludendo che si sia trattato di un sogno:
«[...] Ero in macchina, [...] sono stata spinta fuori strada e ho preso un albero; [...] a quel punto, dopo l'impatto, sono svenuta, sono stata estratta dalla macchina e sono stata messa per terra. Per terra, a quel punto, sono uscita dal corpo... però rimanendo vigile; mi sono fatta una diagnosi, ho visto che era rotto il femore, era rotta la bocca e ho detto: "è più grave la bocca, ma guarisce prima e non dà problemi; il femore, che è meno grave, mi darà problemi; comunque, il tutto si risolverà in un mese al massimo, nessun organo vitale è stato toccato". [...] Sapevo che quello che avevo vissuto era vero, più vero di quello che stavo vivendo dopo. Quindi non era un sogno, non era una costruzione mentale, non era dovuto a droghe, non era dovuto assolutamente a nulla e non mi ero sbagliata. [...] Io distinguo perfettamente quella che è un'immagine mentale da quella che è un'immagine emotiva e da quella che è stata quella esperienza lì che non è né mentale né emotiva; è, inoltre, assolutamente diversa dal sogno».
Anche Giorgio, rimasto in coma 19 giorni, raccontandoci la sua Nde indotta da un incidente d'auto, l'ha descritta come un viaggio in "Paradiso". Nel suo racconto usa il termine "sogno" solo perché non ha altre parole per comunicare ad altri la sua esperienza: «Posso dire che è come se fosse stato un sogno ma in realtà è come se fosse stato vero».
Oltre al senso di realtà, di chiarezza e lucidità più vicino allo stato di veglia che di sogno, un'altra variabile che esclude sovrapposizioni tra stato onirico e l'Nde è che questa esperienza la si ricorda per tutta la vita, resiste all'oblio, ciò che invece non accade nel caso dei sogni.
Le ipotesi esplicative, sia quella del sogno, che tutte le altre (allucinazione, esperienza mistica, stress neurologico da ipossia, visioni archetipiche, estasi indotta da overdose di endorfine, ecc.), risultano deboli e non esaustive, perché sono, a nostro avviso, viziate da un preconcetto tacito o esplicito: l'Nde viene considerata come un'esperienza unitaria, coerente e nel migliore dei casi come uno stato alterato di coscienza. Invece noi sosteniamo che si debba modificare questa visione da montaggio "cinematografico" che si ha dell'Nde. Anzi, il montaggio eseguito dal soggetto narrante, viene complicato dall'opera di "ri-montaggio" da parte dello studioso che cerca generalizzazioni e visioni unitarie. Se invece iniziassimo a considerare l'Nde non come "uno" ma come la sequenza (possibile, ma non necessaria, o comunque senza rigida stadiazione) di "stati" modificati e discreti di coscienza, avremmo la possibilità di circoscrivere e comprendere il fenomeno dell'Nde entro una cornice ben precisa che vada a contrapporsi alle vaghe e, spesso contraddittorie definizioni formulate dai vari autori. Per lo studio dell'Nde potremo allora avvantaggiarci dei modelli, delle procedure di ricerca e delle conoscenze già acquisite nella ricerca generale sugli stati modificati di coscienza. Potremo allora effettuare analisi fenomenologiche, formulare ipotesi limitate e focalizzate su ogni singolo e discreto stato di coscienza indotto dalla prossimità (oggettiva o soggettiva) della morte. Fino ad ora, infatti, tutte le ipotesi, da quelle meccanicistiche a quelle psicodinamiche, da quelle transpersonali a quelle metafisiche, si sono dimostrate deboli proprio perché spiegavano "parti" di una esperienza ritenuta "unitaria", gestalticamente coesa, discreta, come il sogno, l'orgasmo, l'estasi, ecc. Raggruppando la fenomenologia e i vissuti dell'Nde in modo da distinguere ognuno dei clusters risultanti come distinti e discreti stati di coscienza, sarà possibile rivisitare le ipotesi eziologiche e rendersi conto che non sono poi tutte da espungere. Non è detto, inoltre, che una ipotesi meccanicistica valga più di una psicodinamica o transpersonale, è solo questione di livelli di analisi (Venturini, 1995), un sogno può essere al tempo stesso il prodotto della stimolazione di particolari neurotrasmettitori, la soddisfazione allucinata di un desiderio o un messaggio dalle "bande" transpersonali.
Dunque, pur considerando, in accordo con William James, lo stato di coscienza come un flusso continuo, suggeriamo di raccogliere tutti i possibili vissuti di una Nde in tre fondamentali stati modificati di coscienza:
Stato dissociativo: fenomenologicamente caratterizzato da uno stato di dissociazione emotiva fino all'autoscopia.
Stato implosivo: fenomenologicamente caratterizzato da regressione, memoria panoramica e comprensione "cosmica" o illuminazione.
Stato relazionale: fenomenologicamente caratterizzato dalla percezione di luce intensa, sentimenti di amore e incontri con "esseri di luce" o con parenti e amici defunti.
A tali stati va aggiunto quello che chiameremo "passaggio" e che, in realtà, può essere considerato non tanto come uno stato di coscienza discreto, quanto un momento di transizione tra i tre (di solito tra il primo e il secondo). Il passaggio è fenomenologicamente caratterizzato dalla sensazione di attraversare un tunnel buio a grande velocità o dalla sensazione transitoria di oblio totale oppure di varcare un cancello, un muretto di confine, una soglia, ecc.
Per ognuno dei tre stati, si possono discriminare e analizzare i vissuti che le persone hanno raccontato più di frequente, adottando come griglia di lettura il modello di Charles Tart sugli stati alterati di coscienza. In accordo con la "teoria dei sistemi" da lui adottata, Tart (1975) ritiene che ciascuno stato di coscienza (discreto) non vada considerato come costituito da un insieme di funzioni psicologiche isolate, ma come un sistema, cioè «una configurazione interagente, dinamica di componenti psicologiche che eseguono varie funzioni in ambienti che cambiano notevolmente» (p.25).
Dunque, il tipo di ambiente (fisico e culturale) in cui il soggetto è immerso, insieme alla configurazione assunta dalle parti che compongono il sistema-coscienza (sottosistemi), determinano la differenza di caratteristiche assunte dai diversi stati di coscienza.
Tart elenca dieci sottosistemi fondamentali; essi garantirebbero il processo di elaborazione delle informazioni in arrivo dall'esterno e dal corpo e l'organizzazione delle risposte motorie e comportamentali ad esse. Infatti il funzionamento di tali sottosistemi nell'ambito di una determinata gamma di valori, che Tart definisce «previsti e appresi», favorito da tutta una serie di processi di stabilizzazione, consentirebbe al soggetto di rimanere e di funzionare in uno stato di coscienza ordinario.
Non è nostro intento elencare qui uno per uno tutti i vissuti, le sensazioni, le percezioni dei tre stati dell'esperienza di pre-morte, leggendoli attraverso la lente della teoria degli stati modificati di coscienza di Tart o di Ludwig. Viceversa, se volessimo considerare l'Nde come un unico stato di coscienza, la lettura attraverso le griglie sarebbe affatto chiarificatrice; ci troveremmo, ad esempio, nell'ambito di un medesimo racconto di un'Nde, a dover collocare in una singola categoria della griglia, anche tre vissuti differenti. In tal modo la griglia non ci aiuterebbe a discriminare e quindi non potremmo confermare la discretezza dello stato di coscienza. Ad esempio, considerando la categoria: "cambiamenti dell'immagine corporea", notiamo che in una stessa Nde si può passare da un vissuto di dissociazione dal corpo fisico (autoscopia), alla sensazione di essere tornato fisicamente bambino, al vissuto di un corpo di luce o globulare. È evidente la difficoltà a considerare come appartenenti ad un unico stato di coscienza vissuti corporei tanto dissimili; mentre risulta tutto più chiaro se considerassimo i tre vissuti come appartenenti a tre diversi stati di coscienza, che, sebbene raramente, possono configurarsi in sequenza. Al momento del racconto dell'esperienza vissuta, per un processo simile a quello della revisione secondaria dei sogni, i vari vissuti dei tre stati (più quello del "passaggio") verrebbero percepiti come appartenenti ad un'unica sequenza, come episodi di un unico film, e quindi modellati e interpretati simbolicamente a seconda della cultura di chi ha ritenuto di aver "vissuto la propria morte".
Bibliografia
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Cristianesimo e Reincarnazione
La Reincarnazione nel Cristianesimo
Gesù Cristo e la Reincarnazione
La Reincarnazione riferimenti nei Vangeli
Nei vangeli ci sono diversi riferimenti alla reincarnazione. Nel vangelo di Giovanni (III, 3), Gesù dice a Nicodemo: