La Ruota della Vita

Il libro Tibetano dei morti

La Ruota della Vita - Bardo Thodol

Il "Bardo" è una transizione (questo è il significato della parola tibetana) dall'evento della nascita, al momento in cui ci si reincarna.

Nel libro tibetano dei morti viene spiegato dettagliatamente cosa accade dal momento della morte alla successiva rinascita, esso è una vera e propria guida per questo passaggio affinchè la Coscienza del defunto non possa perdersi tra i contenuti della mente che vengono liberati nell'etere. Viene letto al morente affinchè, nell'udire queste indicazioni la Coscienza possa orientarsi verso la liberazione e l'illuminazione o verso una rinascita in una dimensione favorevole.

E' molto difficile, per chi non ha mai meditato o non ha dimestichezza nel guardare dentro di sè e riconoscere le trappole della mente fatte di desideri e attaccamenti, dirigere la propria coscienza nel Vuoto della liberazione dalla rinascita. Mentre si lascia il corpo fisico, si viene sopraffatti da una moltitudine di sentimenti e, completamente disorientati si cerca un percorso

A questo punto è importantissima la lettura del Bardo - il Libro tibetano dei morti -
che viene effettuata da una guida spirituale o un amico/a di meditazione quando si era in vita.
Il Bardo ci permette di seguire una mappa per districare la Coscienza tra i rumori, gli abbagli, le paure, le ansie, i richiami di ciò che lasciamo, i desideri e gli attaccamenti a ciò che non è.L'importanza della meditazione per uscire dall'ignoranza e riconoscere ciò che siamo e farne una reale esperienza duratura. Per comprendere meglio il processo e il percorso che fa la Coscienza dopo aver lasciato il corpo - come viene insegnato nel Buddismo tibetano - la Ruota della Vita. 

"Il solo paese al mondo che ha dedicato tutto il suo genio alla esplorazione interiore e' il Tibet.... Il Tibet e' l'unico paese del mondo che ha lavorato, con tutto il suo genio e tutta la sua intelligenza, alla ricerca della interiorita' e dei suoi tesori.... Tutta la sua storia e' stato un pellegrinaggio interiore. Da nessuna altra parte c'e' stato un tale sforzo concentrato alla scoperta dell'essere nell'uomo...

In Tibet esistevano centinaia di monasteri, e questi monasteri non dovrebbero essere paragonati in nessun modo ai monasteri cattolici. Questi monasteri non hanno confronto nel mondo intero. Questi monasteri si occupavano solo di una cosa: renderti consapevole di te stesso. Nel corso dei secoli sono stati creati migliaia di metodi per far si che il tuo loto interiore possa fiorire e tu possa trovare il tuo piu' grande tesoro.... Tutto il mondo beneficera' dalla loro esperienza. E il mondo avra' bisogno della loro esperienza. " Osho

Da "Om Mani Padme Hum".

"In Tibet si pratica una tecnica che si chiama il Bardo. E' un processo che inizia quando una persona e' in punto di morte. ...In nessun altro paese del mondo si sono fatte ricerche cosi approfondita sulla morte come in Tibet." Da "The great Path".

"Appena morti entriamo in un mondo nuovo, un mondo che non conosciamo affatto. Questo mondo puo' spaventarci, farci molta paura perche' non somiglia a quelle che sono le nostre esperienze ma non e' neanche differente: semplicemente non ha alcuna relazione con la vita sulla terra." Osho


Il Libro Tibetano dei morti

La Ruota della Vita - Bardo Thodol 

Il Bardo Thodol è un libro tibetano che fu scritto nell'ottavo secolo. Esso contiene le istruzioni per il moribondo che gli vengono recitate all'orecchio nel momento del trapasso.

Il libro fu tenuto segreto fino agli inizi del XX secolo, poi nel 1917 fu scoperto da un viaggiatore inglese e tradotto nel 1927 dopo lunghi anni di lavoro. Attualmente se ne trovano edizioni in tutte le lingue, anche in italiano.
Per comprendere il testo bisogna considerare che il Buddismo considera scopo primario dell'uomo raggiungere l'Illuminazione, cioè la piena coscienza dell'irrealtà del mondo sensibile e quindi anche del proprio io. Nel Buddismo sono sconosciuti i concetti di Dio e di Anima.
Secondo i buddisti tibetani questa credenza è causata dall'ignoranza circa la vera natura dell'esistenza. Questo intende affermare il buddismo quando dice che il mondo è irreale. Il rimedio a questa ignoranza
consiste nel vedere al di là dell'illusione. Per giungere a questo stadio è necessario riconoscere le proprie proiezioni del mondo e dissolvere il senso del sé nel vacuo e nel luminoso.
Il Buddismo ha recepito il concetto induista che durante la vita l'uomo accumula il Karma. Questo Karma è la causa della nascita di un nuovo individuo dopo la morte. Se il Karma è negativo, si può rinascere anche come animale; se il Karma è positivo si può rinascere anche in uno dei tanti stati spirituali superiori all'uomo, ma neanche questo è un fatto positivo, perchè anche questi stati sono soggetti alla legge del Karma.
La recita del Bardo Thodol al morente è un tentativo di fargli raggiungere l'illuminazione mentre si trova nello stato di Bardo, cioè nell'intervallo di tempo che precede una nuova rinascita.
Nella stragrande maggioranza dei casi questo scopo non viene raggiunto, ma, come effetto secondario, si può far ottenere al morente una buona rinascita, come essere umano dotato di quelle qualità intellettuali che potrebbero consentirgli di raggiungere l'illuminazione nella nuova vita.
L'insegnamento fodamentale che il Bardo Thodol da al morente è che tutte le visioni che gli appariranno sono solo proiezioni della sua mente e che quindi egli deve assolutamente evitare di esserne attirato.
E' doveroso notare che molte di queste visioni coincidono con le descrizioni fatte dalle persone tornate in vita dopo una morte apparente.
Solo a titolo di esempio, riporto qualche brano del testo: assumerai l'atteggiamento dello stato di mente illuminato, di benevolenza e compassione, e realizzerai l'illuminazione perfetta per il bene di tutti gli esseri. Senza abbandonare questo atteggiamento ricorda e pratica tutti gli insegnamenti ricevuti in passato. Figlio di nobile famiglia, ascolta. La pura luminosità della dhàrmata splende ora di fronte a te, riconoscila. In questo momento il tuo stato mentale è pura, naturale vacuità, non possiede natura propria, né sostanza, né qualità.
La tua mente è luminosa e vacua, nella forma di una grande massa di luce, è il buddha della luce immortale. Riconoscilo." Comprendendo il loro significato., non dimenticarle perché il punto essenziale è riconoscere con certezza tutto ciò che appare per quanto terrificante, come tua proiezione... Non avere paura, non smarrirti. Questa è la radiosità naturale della tua dhàrmata, riconoscila. 

Figlio di nobile famiglia, Se non avrai compreso questo punto essenziale non riconoscerai i suoni, la luce e i raggi e continuerai a vagare in samsara.
Svegliandoti dal tuo torpore ti chiederai che cosa ti sia accaduto : riconosci tutto ciò come stato di bardo." sambogakaya, esse appariranno dal tuo cuore, sono le forme dure delle tue
proiezioni, riconoscile.
Queste visioni non provengono da nessun luogo, sono la primordiale manifestazione spontanea della tua mente. Figlio di nobile famiglia queste immagini non sono né grandi né piccole, esse hanno proporzioni perfette. Ciascuna ha i suoi propri ornamenti, il proprio abito, colore, posizione, un trono e simboli particolari. Sono suddivise in cinque coppie, ognuna circondata da un alone di luce di cinque colori. L'intero mandala apparirà nella sua totalità, e appariranno le divinità maschili e femminili, riconoscile." strada del bardo le divinità pacifiche, non hai riconosciuto le proiezioni della tua mente, il tuo karma negativo è molto forte. Oraappariranno le cinquantotto divinità infuriate, fiammeggianti, bevitrici di sangue. Sarai sopraffatto da un'intensa paura e riconoscerle ti sarà
più difficile. Ma se arrivi a riconoscerle anche un poco la liberazione sarà facile perché col sorgere di queste terribile paure la mente non ha tempo di distrarsi e si concentra a fondo." "Figlio di nobile famiglia, ora, la cosiddetta morte è giunta ; perciò ora "Vai avanti pronunciando queste parole con chiarezza, distintamente, "Figlio di nobile famiglia, ora ti appariranno le quarantadue divinità "Figlio di nobile famiglia , si sono finora presentati sulla pericolosa strada del bardo le divinità pacifiche, non hai riconosciuto le proiezioni della tua mente, il tuo karma negativo è molto forte. Ora appariranno le cinquantotto divinità infuriate, fiammeggianti, bevitrici di sangue. Sarai sopraffatto da un'intensa paura e riconoscerle ti sarà più difficile. Ma se arrivi a riconoscerle anche un poco la liberazione sarà facile perché col sorgere di queste terribile paure la mente non ha tempo di distrarsi e si concentra a fondo."

Bardo Thodol

La Ruota della Vita

Il bardo è lo stato della mente dopo la morte, è lo stadio intermedio, quando la coscienza viene separata dal corpo. Il bardo rappresenta lo stato tra la vita passata e quella futura. Nel bardo, la mente acquisisce un corpo mentale simile a quello del sogno ed ha il potere di raggiungere qualsiasi luogo, in qualsiasi momento senza alcun ostacolo. La durata massima dello stato del bardo è di 49 giorni, ma in qualsiasi momento la coscienza può assumere una nuova vita, in uno dei sei reami descritti nel Buddismo. Questo dipende dal karma delle vite passate e soprattutto da quello della vita precedente. La vita nel bardo è fatta di sofferenze, sia per la non accettazione della propria morte, sia per l'attaccamento a se stessi, alla famiglia, agli amici, ai propri averi, ecc.

Il "Libro Tibetano dei morti" spiega in modo dettagliato le allucinazioni e le esperienze che avvengono nello stato del bardo, ed introduce al riconoscimento dello stato illusorio del corpo e della mente. La pratica del "kusum-lamkhyer" o "prendere i tre Kaya nella pratica", è una pratica da seguire durante la vita quotidiana, per prepararsi alla morte, al bardo ed alla reincarnazione.


Il Bardo di questa vita

La Ruota della Vita

Il bardo di questa vita è il periodo che intercorre fra la propria nascita e la morte. La qualità dell'esperienza che si ha in questo bardo dipende dalla mente dell'individuo. L'intera percezione della vita dipende dalla mente. Per gli esseri al più alto livello di realizzazione, questa vita non è diversa da un mandala. Ciò significa che essi vedono tutto su un livello di purezza. La totalità del mondo esterno è una terra pura e tutti gli esseri sono dei buddha o dei bodhisattva. Tutto ciò che dicono è puro, è come un mantra. Tutto ciò che succede nelle loro menti viene visto come qualcosa di inseparabile da verità suprema e saggezza. Questa è la loro realtà, come percepiscono il mondo. La ragione per cui gli esseri ordinari non hanno questo tipo di esperienza della vita è la loro ignoranza. Gli esseri realizzati sono in grado di vedere le cose come sono veramente; sono in grado di vedere come tutto è inseparabile dai tre stati del Buddha. Questo livello di percezione sorge in tal modo, si dissolve in tal modo e rimane presente per tutto il tempo, dalla nascita alla morte. La morte per questo tipo di esseri è un processo naturale, è semplicemente auto-liberante. Ci sono molti nomi per tale livello di realizzazione, per la abilità di vedere tutte le apparenze come qualcosa di puro. Alcuni la descrivono come "la ruota sapiente di ogni esperienza", un altro lama l'ha chiamata "il bardo delle quattro kaya unite" e "il bardo dello stato di veglia auto-consapevole". Ci sono molti modi di descrivere questa abilità di vedere tutto su un livello puro. Ma comunque la si voglia chiamare, il significato profondo risiede nel vedere che qualunque cosa non è diversa dalla natura di saggezza della mente.

Per esseri ordinari che non hanno compreso la verità suprema, la vita è qualcosa che esiste dal momento in cui si nasce fino a quando si muore. Se ne ha esperienza in maniera totalmente dipendente dal tipo di karma che si è accumulato. Può essere una vita piacevole o sgradevole, ma qualunque avvenimento viene vissuto come se fosse reale e veramente esistente. Si inseguono le proprie tendenze karmiche e le proprie abitudini e si viene catturati dall'illusione che le esperienze di questa vita siano reali. Ci si aggrappa erroneamente alle cose come fossero reali sebbene non lo siano, si crede che le cose siano permanenti sebbene non lo siano. Pensando che quello che in effetti conduce alla sofferenza possa apportare felicità, si commette l'errore di interpretare i brevi momenti di felicità nel mondo come se fossero la vera felicità. Finché tale illusione rimane presente, si è ingannati [dalle apparenze] e si può sprecare tutta la propria vita. Si è dilaniati fra le cose che ci piacciono e quelle che non ci piacciono, e si agisce motivati dal voler ottenere e trattenere le cose a cui siamo attaccati, sebbene inevitabilmente prima o poi verranno perse un'altra volta, comunque. Altre cose, quelle che non ci piacciono e le azioni negative che commettiamo per evitarle, in seguito ci porteranno ulteriore sofferenza. In tal modo sprechiamo il nostro tempo con attività senza senso. Totalmente confusi, passiamo la vita a caccia di obbiettivi irraggiungibili.

Di notte è uguale, perché non siamo in grado di praticare i metodi che ci permettono di entrare consapevolmente nello stato di sonno. Invece, come un cadavere, cadiamo in uno stato di totale ignoranza. Mentre dormiamo, le impressioni e le abitudini registrate nella nostra mente fanno sorgere vari sogni. Non li riconosciamo come sogni e possiamo perfino patire degli incubi. Non capendo che i nostri sogni sono quel che sono, crediamo che siano reali, sebbene non lo siano. Il bardo di questa vita è fatto così per gli esseri ordinari.

C'è un sutra che descrive questo tipo di esistenza. Dice che ci aggrappiamo alle nostre idee sbagliate e a causa dell'ignoranza abbiamo molte concezioni erronee che riteniamo reali. Questa è la ragione per cui gli esseri senzienti continuano a vagare nel samsara - l'esistenza condizionata. Un essere nobile, come un buddha o un bodhisattva, al contrario può comprendere la vera essenza di ogni cosa ed è in grado di capire che ogni cosa è dharmakaya - lo stato di verità. Ciò che produce la differente percezione della vita è questo: se comprendiamo l'essenza di ogni cosa oppure no. Abbiamo bisogno di istruzioni su come fare a trasformare il bardo di questa vita nel sentiero [verso l'illuminazione], come usarlo e come imparare da esso. Dopo aver trovato un insegnante qualificato, ci dobbiamo affidare a lui o lei onestamente e di tutto cuore. Questo significa non solo comportarci bene di fronte all'insegnante, ma anche quando non c'è. Dobbiamo imparare dal nostro insegnante e lo dobbiamo fare nella maniera giusta. La fondazione di una corretta pratica del dharma consiste nel fare le promesse principali, mantenere la disciplina esteriore, così come la promessa del bodhisattva e gli impegni assunti nel vajrayana - la Via di Diamante. Questa base fornisce la garanzia che saremo sempre sul percorso giusto. Dopo aver fatto queste promesse, le dobbiamo mantenere. Non è sufficiente evitare di infrangere completamente le nostre promesse. Bisogna prendersi cura anche di quelle azioni marginali che danneggiano le nostre promesse seppur senza infrangerle completamente. In tale contesto dovremmo essere onesti il più possibile in tutto ciò che facciamo, diciamo e pensiamo. Dopo aver trovato un insegnante, abbiamo la possibilità di imparare da lei o lui e dovremmo usare tale opportunità nella maniera migliore possibile.

Dovremmo studiare e ripassare gli insegnamenti di sutra e di tantra che abbiamo ricevuto. Nel far questo, bisogna stare attenti a non cadere nell'estremo di accettare come corretto solamente ciò che noi stessi abbiamo appreso. Non bisognerebbe mai diventare settari. Sarebbe un errore pensare che solo ciò che abbiamo imparato noi sia corretto mentre tutto il resto no, oppure non rispettare e non tollerare altri insegnamenti. Invece dobbiamo capire che tutto il dharma è utile e che quindi bisogna accettare anche gli altri insegnamenti.

Bisogna aver sempre chiarezza sul significato del dharma, qualunque cosa si apprende ha uno scopo. Lo scopo del dharma è apportare beneficio alle nostre menti. I metodi del dharma ci aiutano a lavorare con la nostra mente, a ridurre le emozioni disturbanti e a migliorare la nostra comprensione. Non è corretto praticare il dharma e al contempo salvaguardare il proprio normale modo di pensare. Una separazione di questo tipo può avvenire quando non si integra nella propria pratica e nella propria mente ciò che si è imparato. È veramente importante evitare di farlo. Se si sono imparate molte cose, e magari si possono perfino spiegarle, ma non si applica nella propria vita ciò che si è imparato, allora si sbaglia. Questo non è il significato del dharma. Invece bisogna integrare il dharma nella propria mente.

Nello studio e nella pratica del dharma sono soprattutto importanti le istruzioni ricevute dal proprio insegnante principale, il proprio lama radice. Bisognerebbe praticare tutte le istruzioni che ci dà e seguire i suoi consigli.

Quanto più a fondo la propria pratica incide sul proprio attaccamento a questa vita, tanto meglio è. La nostra mente nello stato ordinario di solito è totalmente coinvolta e attaccata alle attività e alle relazioni mondane. Se vogliamo praticare più seriamente dobbiamo tagliar via questo attaccamento. Allora può essere possibile rimanere in ritiro in luoghi isolati per poter lavorare intensivamente con il dharma. Però non è sufficiente starsene semplicemente da soli. Anche animali come gli uccelli e i cervi lo fanno. Anch'essi vivono in luoghi remoti, ma non vogliamo diventare come loro. Invece dobbiamo diventare più attenti con il corpo, la parola, e la mente. Dobbiamo diventare sempre più consapevoli e praticare il dharma, seguendo ogni istruzione che abbiamo.

Mentre impariamo e pratichiamo il dharma potremmo anche arrivare a qualche tipo di comprensione della vacuità. A quel punto bisognerebbe sempre ricordare che, indipendentemente da quanto sappiamo, non bisogna mai dimenticare la nostra comprensione di causa ed effetto. Dovremmo comportarci sempre in accordo con i principi di causa ed effetto. Non saremo mai così brillanti o così realizzati da non dover più prendere in considerazione causa ed effetto. Questo significa che anche le piccole cose sono importanti e che tutto ciò che facciamo sul livello relativo conta. È molto importante non mettersi a pensare di aver capito così tante cose, di avere raggiunto così grandi realizzazioni, di aver meditato così tanto che non ha più importanza il modo in cui ci comportiamo. Questo sarebbe un completo malinteso del significato del dharma. Semplicemente siate un buon esempio, abbiate sempre un buon cuore caldo e siate onesti; perché se si è disonesti e si ingannano o danneggiano altri esseri, non si sta praticando il dharma. Vivere in accordo con causa ed effetto è della massima importanza.

La maniera in cui viviamo questa vita determina come ce la caveremo nei bardo che seguiranno dopo la nostra morte. In questo momento tutto è nelle nostre mani; adesso abbiamo l'opportunità, la libertà, la possibilità di imparare e di praticare. Se lo facciamo ora, sapremo cosa fare quando moriremo. Ma se non usiamo la nostra vita adesso, allora non sapremo come gestire il sopraggiungere della morte: sarà troppo tardi. Non sarà possibile in quel momento cominciare a chiedere che cosa dovremmo fare e iniziare a praticare. A quel punto sarà troppo tardi. Saremo troppo confusi e non saremo in grado di gestire la situazione. Orgyen Rinpoche (Guru Rinpoche) spiegò: "Se si pensa di avere molto tempo e che la pratica del dharma riguarda il momento della morte, che si può imparare più tardi, quando si sta per morire, ci si sbaglia. Quando la morte si avvicina è già troppo tardi. A quel punto è impossibile imparare ciò che abbiamo bisogno di sapere." Bisogna che ci addestriamo adesso, nel bardo di questa vita, cosicché a quel punto sapremo che cosa fare. Siccome ci sono così tanti metodi e siamo tutti diversi gli uni dagli altri, bisogna trovare l'approccio più adatto alle proprie abilità e aspirazioni. Dopo aver ricevuto i metodi più adatti per la propria situazione, bisogna praticarli per ottenere risultati. Per ottenere il risultato completo si ha bisogno anche di un'iniziazione che matura la mente e conduce alla liberazione.

Löpon Tsechu Rinpoche, (1992) Rodby, Danimarca.

Tradotto da: https://buddha.nimmersoft.dk/bardothislife.htm

Il Buddismo e Bardo Thodol

La Ruota della Vita

Un elemento centrale di tutte le scuole del Buddismo è che l'attaccamento al desiderio e per le cose del mondo speroni sofferenza e disagio ( dukkha ), che influenzano le azioni i cui effetti accumulati, o karma , legano gli individui al processo di morte e rinascita ( samsara ).Coloro che hanno raggiunto l'illuminazione (bodhi ) sono così liberati da questo processo, raggiungere la liberazione ( moksha ).Coloro che rimangono non illuminati sono attratti dal karma, se buono o cattivo, in una nuova vita in una delle sei modalità di esistenza: come un malato in inferno (sopportando orribili torture), come un fantasma errante (guidata dalla brama insaziabile), come animale (governato dall'istinto), come un semidio (lussuriosa per il potere), come un essere umano (bilanciato in istinto e ragione), o come un dio (Cullato da loro lunga vita a credere che sono immortali).

Il Vajrayana ( tantrico ) Buddismo che è emerso in Asia centrale e in particolare in Tibet,ha sviluppato il concetto di bar-do s, gli stati intermedi o di transizione che segnano la vita di un individuo dalla nascita alla morte e rinascita. Il periodo tra la morte e la rinascita dura 49 giorni e prevede tre bardo s. Il primo è il momento della morte stessa. La coscienza della persona appena deceduta viene a conoscenza di e accetta il fatto che è morto di recente, e riflette sulla sua vita passata. Nel secondo bardo, incontra apparizioni spaventose. Senza una comprensione che queste apparizioni sono irreali, la coscienza diventa confuso e, a seconda del suo karma, può essere coinvolto in una rinascita che impedisce la sua liberazione. Il terzo bardo è la transizione in un nuovo corpo.

Mentre nel bardo tra la vita e la morte, la coscienza del defunto può ancora comprendere le parole e le preghiere pronunciate sul suo conto, che può aiutare a navigare attraverso la sua confusione e rinascere in una nuova esistenza che offre una maggiore possibilità di raggiungere l'illuminazione. Recita del Bardo Thödol, di solito eseguita da un lama (maestro religioso), inizia poco prima della morte (se possibile) e continua per tutto il periodo di 49 giorni, che porta alla rinascita.

Anche se attribuisce la tradizione Il BT aPadmasambhava , il guru tantrico indiano (guida spirituale) che viene attribuita l'introduzione buddismo in Tibet nel 7 ° secolo, il libro è stato probabilmente composto nel 14 ° secolo. Sin dai primi anni del 20 ° secolo che è stato tradotto in inglese e altre lingue occidentali molte volte. La prima traduzione in lingua inglese è stata fatta da Walter Evans-Wentz (1927), che ha intitolato l'opera "Il Libro tibetano dei morti" a causa di alcune somiglianze ha affermato di rilevare tra essa e l'egiziano Libro dei Morti -Ad esempio, l'esistenza di fasi attraverso le quali il defunto deve percorrere prima di rinascita.

Il viaggio nell'Aldilà 

Illustrato nel libro dei morti dell'Antico Egitto

Il libro dei morti

Dell'Antico Egitto

Il Libro dei Morti veniva sempre sepolto insieme al defunto, così da averlo con se, oppure veniva direttamente disegnato all'interno del sarcofago. Una cosa è certa, mai un'anima avrebbe vagato nell'aldilà senza questo importantissimo aiuto! 

Il Libro dei Morti è una raccolta di testi funerari di varia natura, che si diffondono a partire dal Nuovo Regno e che gli Egizi chiamavano: "Formule per uscire nel giorno". I diversi capitoli sono introdotti da un titolo e spesso vengono accompagnati da scene. Fondamentalmente il Libro dei Morti è una sorta di manuale da portarsi appresso nel lungo e difficile cammino nell'aldilà fino a giungere al cospetto di Osiride. Infatti, dopo morti, non si giungeva subito al Paradiso o all'Inferno, ma bisognava affrontare una serie di ulteriori prove che, senza questo libro in aiuto, era quasi impossibile superare. Infatti quasi tutti i sarcofagi vennero internamente dipinti con il Libro dei Morti, o, in alternativa, il papiro veniva posizionato accanto alla mummia del defunto. Lo scopo del testo è per l'appunto, il conseguimento di spirito eletto al quale si giunge attraverso un percorso disseminato di pericoli e insidie, che si possono superare solo conoscendo e recitando le formule magiche appropriate.

Al termine del viaggio si giunge alla prova finale, il giudizio davanti al tribunale di Osiride che rappresenta il momento cruciale per conseguire la piena sopravvivenza ed essere accolto in Paradiso, tra gli dèi. Il defunto viene accompagnato per mano da Anubi di fronte a 42 dei che gli chiedono di confessare 42 peccati terreni. Dopo che il defunto confessa di essere totalmente innocente e di non averne mai compiuto neppure uno, il dio con la testa di sciacallo, posiziona il suo cuore sulla bilancia insieme alla piuma di Maat (la verità). Toth, che ha come testa un ibis, dio della scrittura e della conoscenza, segna su di un papiro il risultato (che guarda caso viene rappresentato sempre positivo! Si tendeva così a portar fortuna...), se il cuore è più leggero della piuma, allora l'anima è pura e Horus, con la testa di falco lo condurrà per mano di fronte a Osiride che, accompagnato dalle mogli e sorelle Iside e Nephtis, lo accoglierà nei cielo. Se invece il cuore pesa più della piuma, allora sarà divorato dal mostro Ammut.

Il tema della "pesatura delle anime" viene ripresa a volte anche dall'iconografia cristiana e viene chiamata "PSICOSTASI". Al posto di Osiride, Iside e tutti gli altri dei abbiamo la seguente raffigurazione: sulla bilancia si trovano due anime, sottoposte a giudizio al momento del trapasso. Il Bene (rappresentato dall'Arcangelo Michele con la spada sguainata) e il Male (rappresentato dal demonio alato) sorreggono la bilancia e si contendono le anime.

Il libro dei morti

Dell'Antico Egitto

Il Libro dei morti è un antico testo funerario egizio, utilizzato stabilmente dall'inizio del Nuovo Regno (ca. 1550 a.C.) fino alla metà del I secolo a.C.[3] Il titolo originale del testo, traslitterato rw nw prt m hrw[4], è traducibile comeLibro per uscire al giorno[5][6]. Un'altra traduzione possibile è Libro per emergere nella luce. Libro è il termine che più si avvicina a indicare l'intera raccolta dei testi: il Libro dei morti si compone di una raccolta di formulemagico-religiose che dovevano servire al defunto come protezione e aiuto nel suo viaggio verso il Duat, il mondo dei morti che si riteneva irto di insidie e difficoltà, e verso l'immortalità. Fu composto da molti sacerdoti nell'arco di unmillennio.

Il Libro dei morti si inserisce in una tradizione di testi funerari iniziata con gli antichi Testi delle piramidi (Antico regno) e Testi dei sarcofagi (Medio regno), che erano appunto inscritti su pareti di camere funerarie o su sarcofagi, ma non su papiri. Alcune delle formule del Libro derivano da tali raccolte molto più antiche (III millennio a.C.), altre furono composte in epoche successive della storia egizia, risalendo via via al Terzo periodo intermedio (XI-VII secolo a.C.). Il papiro del Libro dei morti, o di parte di esso, era talvolta deposto nel sarcofago insieme alla mummia.

Non vi fu mai una edizione unica e canonica del Libro dei morti. I papiri pervenutici contengono varie selezioni di formule magiche e religiose e illustrazioni, anche di notevole valore artistico. Alcuni individui sembrano aver commissionato copie del Libro del tutto personali, probabilmente scegliendo frasi e formule che ritenevano particolarmente importanti per il loro accesso nell'aldilà. Il Libro dei morti era quasi sempre trascritto in caratterigeroglifici o ieratici su rotoli di papiro, e talvolta decorato con figure raffiguranti il defunto e le tappe del suo viaggio nelDuat.

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Storia del libro dei morti

Antico Egitto

Il Libro dei morti si è andato formando a partire da una tradizione di manoscritti funerari risalenti all'Antico Regno dell'Egitto. La prima e più antica tipologia di questi testi sono i Testi delle piramidi, comparsi per la prima volta nella piramide del faraone Unis (o Unas) della V dinastia, vissuto intorno al 2400 a.C.[7] Tali testi erano scolpiti sulle pareti delle camere sepolcrali all'interno delle piramidi dei soli faraoni, a Saqqara (e, a partire dalla VI dinastia, anche di alcune regine). Molti dei Testi delle piramidi furono realizzati con geroglifici oscuri e inusuali; molti dei geroglifici raffiguranti esseri umani o animali venivano lasciati incompleti o mutilati, probabilmente per impedire simbolicamente che arrecassero un qualsiasi danno al faraone defunto[8]. Lo scopo dei Testi delle piramidiera aiutare il re a prendere posto fra gli dei, soprattutto a riunirsi con suo padre Ra: in quella determinata fase storica, l'aldilà era immaginato nei cieli, piuttosto che come l'oltretomba descritto nel Libro dei morti[8]. Negli ultimi momenti della VI dinastia, i Testi delle piramidi cessarono di essere un'esclusiva dei faraoni e furono adottati anche da nobili, alti funzionari e governatori locali.

Durante il Medio Regno (2055 - 1650 a.C.[9]) emerse una nuova tipologia di testi funerari: i Testi dei sarcofagi. I Testi dei sarcofagi impiegavano un linguaggio molto meno arcaico, nuove formule e per la prima volta illustrazioni e figure. Tali testi venivano solitamente incisi sui coperchi e sulle pareti interne ed esterne dei sarcofagi, benché in qualche raro caso siano stati rinvenuti su papiri[8]. I Testi dei sarcofagi erano accessibili a ogni individuo che fosse abbastanza ricco da permettersi un sarcofago, allargando così il numero di persone che potevano pensare di accedere alla vita eterna; questo processo è stato definito una democratizzazione dell'aldilà[6].

Vignetta raffigurante la pesatura del cuore, dal papiro di Hunefer (ca. 1275 a.C.). Il cuore dello scriba Hunefer viene pesato sulla bilancia di Maat, dea della verità; sull'altro piatto è posata la piuma della verità. Il dio Anubi compie la pesatura. Il dio Thot registra il risultato. Qualora il cuore eguagliasse il peso della piuma, Hunefer sarebbe accolto nell'immortalità. In caso contrario, verrebbe divorato dal mostroAmmit, una fusione di coccodrillo, leone e ippopotamo.

Il Libro dei morti cominciò a formarsi a Tebe verso l'inizio del Secondo periodo intermedio dell'Egitto, intorno al 1700 a.C. La più antica occorrenza di formule confluite nel Libro dei morti è stata rilevata nel sarcofago della regina Mentuhotepdella XIII dinastia, consorte di re Djeuti, dove nuove formule furono inserite fra altre antiche derivanti dai Testi delle piramidi e dai Testi dei sarcofagi.

Dalla XVII dinastia egizia il Libro cominciò a diffondersi al di fuori dei membri dellafamiglia reale, fra cortigiani e funzionari. In tale fase le formule cominciarono a essere riportate su sudari di lino avvolti intorno alla mummia, sebbene occasionalmente scoperti su feretri e papiri[10].

Con l'avvio del Nuovo Regno l'articolazione e la diffusione del Libro dei mortiraggiunsero il loro apice. La famosa formula n°125, detta della Pesatura del Cuore, ha la sua prima attestazione durante i regni di Hatshepsut e Thutmose III, intorno al1475 a.C. Da quell'epoca in poi, il Libro dei morti fu trascritto sempre su rotoli di papiro, con l'aggiunta di immagini e figure anche complesse. Sotto la XIX dinastia, tali vignette si fecero sontuose, tavolta a discapito del testo stesso.

Durante il Terzo periodo intermedio dell'Egitto, il Libro dei morti cominciò ad apparire in scrittura ieratica, la versione corsiva dei geroglifici. I papiri in ieratico erano più economici e semplici da realizzare, con l'esclusione inoltre delle vignette, esclusa una sola immagine all'inizio del testo. Contemporaneamente comparvero ulteriori testi funerari, come ad esempio l'Amduat.

Ai tempi della XXV e XXVI dinastia il Libro dei morti fu aggiornato, modificato e adattato a nuovi standard. Delle formule furono riorganizzate e, per la prima volta, numerate. Tale versione è nota come Revisione saitica, poiché in quel periodo la capitale del Paese era Sais. Nel Periodo tardo e in epoca tolemaica le riproduzioni del Libro continuarono a basarsi sulla Revisione saitica, seppure sottoposta a frequenti tagli. Apparvero nuovi testi funerari, quali il Libro del respirare (ca. 350 a.C.) e il Libro per trascorrere l'eternità (ca. 330 a.C.). L'ultimo uso documentato del Libro dei morti risale alla metà del I secolo a.C., sebbene alcuni motivi artistici si siano perpetuati anche in età romana.

Descrizione

Vignetta dal Papiro di Ani con l'illustrazione della formula 30B: << Formula per non permettere al cuore di Ani di agire contro di lui, nella Casa del Dio. >>

Si tratta, generalmente, di formule e di racconti incentrati sul viaggio notturno del Dio sole (nelle sue diverse manifestazioni) e della sua lotta con le forze del male (tra cui il serpente Apopi) che tentano, nottetempo, di fermarlo per non farlo risorgere al mattino.

In particolare il testo doveva servire a preparare la testimonianza sulla sua condotta di vita, che il defunto doveva fornire davanti al giudizio diOsiride. Il papiro era poi posto nella tomba, o a volte direttamente nelsarcofago, assieme ai tesori e alle suppellettili ritenute necessarie per l'anima in viaggio. Il defunto era sottoposto alla cerimonia dellapsicostasia, la pesatura dell'anima davanti al tribunale di Osiride.

Inizialmente i testi venivano tracciati sulle pareti della camera sepolcrale. Nel Medio regno si usò dipingere le formule sul sarcofago, e solo a partire dalla XVIII dinastia si impiegò il papiro.

In questo modo sono giunti agli egittologi innumerevoli testimonianze sulle pratiche di mummificazione e sul culto dei morti in generale di molte dinastie.

Chiamato dagli antichi egizi Libro del ritorno nel giorno, il Libro dei morti è fondamentalmente una raccolta di detti, epitaffi, formule che risalgono agli antichi Testi dei sarcofagi, i quali a loro volta risalgono ai Testi delle Piramidi. Antecedentemente utilizzati per le sepolture "comuni", se ne trovano ampi stralci nelle anticamere di molte tombe della Valle dei Re del periodo ramesside.

Suddivisione

Quasi ogni copia del Libro dei morti era un pezzo unico, poiché conteneva una commistione di formule scelte dal corpus di quelle disponibili a discrezione del commitente e proprietario. Nell'antichità non esisteva praticamente una struttura ordinata e definita del Libro dei morti. Fino allo studio pionieristico di Paul Barguet del 1967 sui temi ricorrenti fra i testi, gliegittologi erano dell'opinione che non esistesse alcuna struttura interna del Libro dei morti. Solo a partire dal periodo Saita vi fu una suddivisione ordinata del testo.

Il Libro dei morti, a partire dalla Revisione saitica, venne generalmente suddiviso, nei suoi capitoli, in quattro sezioni:

  • Capitoli 1 - 16: il Defunto è posto nella tomba, discende nel Duat, l'oltretomba, e il corpo si riappropria della facoltà di muoversi e parlare.
  • Capitoli 17 - 63: spiegazione della origine mitica degli dèi e dei luoghi; il Defunto viene fatto rivivere ancora così che possa sorgere e rinascere con il sole nascente.
  • Capitoli 64 - 129: il Defunto percorre il cielo sulla barca solare, il sole stesso; al tramonto, si reca nell'oltretomba per comparire di fronte a Osiride.
  • Capitoli 130 - 189: essendo stato giudicato degno, il Defunto prende potere nell'universo come uno degli dèi. Questa sezione include anche vari capitoli sugli amuleti protettivi, sulle provviste di cibo e su luoghi importanti del mondo dei morti.
  • Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. 

Il mito di Osiride

Antico Egitto

Osiride e Iside, la coppia divina più venerata in Egitto, è legata al mito più noto ed antico. 
Gebb, il dio della terra, e Nut, la dea del cielo, avevano generato due figli, Osiride e Seth, e due figlie, Iside e Neftis. Iside sposò Osiride, e Neftis sposò Seth. Osiride governava con saggezza la terra ereditata dal padre: Non appena re, strappò subito gli Egiziani dalla loro grama esistenza di animali selvatici, fece loro conoscere i frutti della terra, diede loro le prime leggi, e insegnò a rispettare gli dèi. Più tardi, percorse tutta la terra per civilizzarla. 
Ciò destò la gelosia di Seth, che volle uccidere il fratello. 
Fece costruire un cofano riccamente decorato, delle esatte misure di Osiride, e lo fece portare durante un banchetto, fra i convitati, promettendo di donarlo a quello di loro che vi si fosse potuto adagiare perfettamente. 
Quando fu la volta di Osiride di provare, i partigiani di Seth posero il coperchio sul cofano e lo sigillarono, rinchiu- dendovi il dio; poi lo gettarono nel fiume. 
Iside, che ignorava la sorte dello sposo, percorse tutto l'Egitto, piangendo, alla sua ricerca, finché ne trovò la salma. 
Il dio Ra, udendo i lamenti di Iside, mandò sulla terra il dio Anubi, che avvolse in bende il corpo di Osiride, dopo averne ricomposto le membra fatte a pezzi da Seth, e gli diede sepoltura. 
Iside agitò le ali sopra lo sposo, ed egli prese a respirare; ma non potendo più vivere sulla terra, visse e fu re nel regno sotterraneo dei defunti. 
Poco dopo nacque ad Iside un figlio, Hòrus che, volendo vendicare il padre, condusse una lunga lotta contro Seth. 
Le lotte fra Horus e Seth adombrano le lotte predinastiche fra i due grandi partiti che raggruppavano, l'uno, i " nomi " partigiani di Horus, nel Basso Egitto, l'altro, i " nomi " obbedienti a Seth, nell'Alto Egitto. 

La dea Serket,protettrice dei morti, la dea Iside, il dio Khefri dalla testa di scarabeo (a sinistra);
oltre la porta Osiride e Atum; a destra Hator e il dio Horus dalla testa di falco.


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